Spezzeranno le reni alla Grecia?
Il presente della Grecia è il nostro futuro: il paese non è in grado di ripagare il debito pubblico, mentre politici di destra e di sinistra procedono con ferocia a tagli allo stato sociale, cioè a quel reinvestimento in beni comuni delle risorse messe dai cittadini a disposizione dello stato con le tasse: scuola, sanità, pubblica amministrazione. Non sappiamo se ai greci venga risparmiata la nauseante retorica dei “fannulloni” che hanno un impiego statale, ma sappiamo che – fatti con le buone o con le cattive – la sostanza dei tagli non cambia. E così anche in Grecia si sono affacciati sulle piazze gli indignados. Rifiutano di pagare il debito con le banche e con le istituzioni finanziarie internazionali, non sono disposti a pagare il prezzo dell’aumento delle disuguaglianze e con il ritorno al mercato per tutti i servizi, compresa l’istruzione e la salute. Assediano i politici asserragliati in un parlamento che non fa altro che obbedire agli ordini della finanza. Guido Viale scrive che bisognerà necessariamente rivedere il patto di stabilità di Maastricht, che costringe a onorare il debito pubblico anche a prezzo della dismissione di ciò che è proprietà di tutti. “Il problema”, aggiunge, “è se a questo passaggio obbligato si arriverà dopo aver spolpato lavoratori e popolo di tutto quello che hanno conquistato nel corso del secolo scorso, e dopo aver svenduto alla finanza internazionale tutto il vendibile (porti, utility, servizi pubblici, acqua, edifici, isole, spiagge, magari anche il Partenone); oppure se la dichiarazione di insolvibilità arriverà prima delle svendite”, grazie alla mobilitazione popolare. Le donne hanno molto da perdere dalle privatizzazioni: il Novecento come “secolo delle donne” ne ha visto l’ascesa parallelamente allo sviluppo dello stato sociale, lo stato del welfare, che si è occupato di riorganizzare i servizi alla persona, in un certo senso collettivizzando quelli che erano in gran parte compiti femminili: la cura dei figli, l’assistenza ai malati, disabili e anziani in primis.
È stata una sorta di “emersione” sotto forma di lavoro riconosciuto e retribuito di qualcosa che era considerato un dono femminile (obbligatorio, però). E la parte femminile degli indignados si è fatta sentire: le femministe scese in piazza anch’esse indignate hanno dovuto purtroppo denunciare molestie sessuali da parte di alcuni degli uomini che tengono da più di un mese le piazze di Madrid e Barcellona. E hanno aggiornato il manifesto degli indignati spagnoli, di cui abbiamo riportato nello scorso editoriale alcuni punti interessanti, con il titolo La rivoluzione sarà femminista o non esisterà.
Così scrivono: “Siamo in piazza perché: Vogliamo una società centrata sulle persone e non sui mercati. Per questo diciamo: servizi pubblici gratuiti e di vitale importanza come l’educazione, la sanità, l’assistenza e la cura all’infanzia e alle persone con particolari necessità di assistenza di fronte ai tagli alla spesa sociale, la riforma del lavoro e delle pensioni. Vogliamo l’impegno di tutte e tutti per la costruzione di una società dove non ci sia posto per le violenze maschiliste in tutte le sue espressioni: economica, estetica, sul lavoro, fisica, psicologica, sessuale, istituzionale, religiosa, sotto forma di tratta ai fini dello sfruttamento del lavoro e sessuale…
Vogliamo decidere liberamente del nostro corpo, goderne e relazionarci con lui e con chi ci pare.
Vogliamo l’aborto libero e gratuito e l’educazione affettiva e sessuale.
Vogliamo una società diversa dove siano rispettate le molteplici forme di vivere il sesso e la sessualità (lesbiche, gay, intersex, bisessuali, transessuali, transgender…) e sia riconosciuto il diritto alla sessualità in tutte le tappe della vita. Esigiamo la de-patologizzazione delle identità trans.Esigiamo che lo stato e la chiesa smettano di interferire nelle nostrevite.” E così via. (Grazie per la traduzione a Femminismo a sud: http://spazialtri.noblogs.org/?p=1264)
Il pamphlet Indignatevi! del partigiano novantatreenne Stéphan Hessel è stato tradotto anche in italiano, nel Belpaese dove i referendum sono stati vinti, l’euforia per la sconfitta elettorale delle destre è stata grande, la speranza di una politica che ascolti il popolo è rinata. Ma non basterà certo un sì fatto di una croce sulla carta per far cambiare rotta al neoliberismo. Buona estate?