Sulla sentenza di Trento

Cari compagni gay, vi invitiamo a non festeggiare la cancellazione della madre

 

Il 28 febbraio è stata resa nota la sentenza con la quale una Corte d’appello dello Stato italiano ha accettato un certificato di nascita di un paese che ha stravolto il principio della maternità legale, che è basata sulle esperienze della gravidanza e del parto condivise e agite da madre e figlia.

Il paese dove è avvenuta questa nascita non è nominato nella copia con omissis della sentenza che abbiamo potuto leggere, dove però si sostiene che la procedura è accettabile perché la donna diventata madre che ha poi ceduto i bambini alla coppia non sarebbe stata retribuita, ovvero i bambini non sarebbero stati venduti. Questa – benché il tribunale la avalli – è sicuramente una bugia perché nessuna donna si sottoporrebbe a una gravidanza e maternità per altri, e certamente non per due stranieri supponiamo sconosciuti, se non viene direttamente retribuita, come in California, Ucraina, India, oppure se il suo compenso è mascherato da rimborso spese come in Canada o Grecia, che dichiarano di avere una “Gpa altruistica” mentre si approvano “rimborsi spese” di somme che equivalgono a un vero e proprio salario per il lavoro della gravidanza e non possono poi, nemmeno se lo vogliono, riconoscere i figli. Ad esempio nessuna donna lo fa in Italia, dove non si possono ricevere compensi e dove i committenti non hanno la certezza di vedere il proprio nome sul certificato di nascita come nel luogo dove la coppia di gay della sentenza di Trento ha assunto una responsabilità genitoriale. Come è possibile sostenere che si tratti di “doni” altruistici di bambini o di gravidanze, quando la madre non può essere nemmeno nominata nel certificato di nascita?

Non possono esserci primi e secondi genitori senza una madre: saranno sempre i secondi e i terzi perché la gravidanza e la nascita sono già un rapporto intimo, stretto, imprescindibile nella riproduzione umana tra la futura bambina e sua madre. Se questa non vuole essere nominata, che rimanga anonima (per quanto si vada sempre più affermando un diritto a conoscere le proprie origini biologiche richiesto dai figli dei “donatori” così come dagli adottati)  ma che non venga fatta sparire con un colpo della bacchetta “magica” della legge e dei giudici. Questa bacchetta magica non funziona, e l’origine materna di ognuno di noi rimane un fatto inevitabile. Quella bacchetta magica può solamente togliere diritti alla donna che porta a termine una gravidanza, che non è una tecnica medica di riproduzione, né una gravidanza “per altri”, ma sempre è compiuta in prima persona da una donna che, con la gravidanza e il parto, diventa madre persino se non accetta di chiamarsi tale o di assumersi la responsabilità della crescita dei figli. Se considera il bambino non suo, non per questo il neonato non la riconoscerà e potrà essere trattato come una cosa da vendere per un compenso.

Siamo certe e certi che la coppia gay che in questi sei anni ha cresciuto dei figli lo ha fatto con tutto l’amore di cui è capace, creando una famiglia di cui essere orgogliosi. Festeggiamo con loro il riconoscimento dovuto per il rapporto con i figli che hanno cresciuto. Ma gli stati e le leggi non devono riconoscere una cancellazione della donna che li ha fatti diventare genitori, e non devono accettare che questa madre cancellata sia stata un’operaia della gravidanza. Questo non lo possiamo, non lo dobbiamo festeggiare.

 

Daniela Danna, Alessia Di Dio, Marina Terragni, Monica Ricci Sargentini, Emma Baeri, Annarita Silingardi, Giorgia Mauri, Rossana di Fazio, Stefania Tarantino, Lorenza Maluccelli, Giovanna Camertoni, Paola Tavella, Cristina Gramolini, Aurelio Mancuso, Francesca Izzo, Antonella Crescenzi, Lorenza Accorsi, Pia Brancadori, Amalia dell’Aquila, Tristana Dini, Lucia Giansiracusa, Francesca Marinaro, Rita Cavallari, Daniela Agostini, Eleonora Dall’Ovo, Maria Serena Sapegno, Anna Maria Riviello, Silvia Dradi, Chiara Sebastiani, Stella Zaltieri Pirola, Daniela Tuscano, , Paola Cavallin, Monica Santoro, Anna Chiodi, Daniela Grigioni, Antonia Ciavarella, Gloria Fenzi, Elisa Giunchi.

Per adesioni e informazioni lettera.ai.gay @gmail.com

Prideonline ha pubblicato oggi un articolo volgare e diffamatorio, forse in risposta alla mia richiesta di pubblicare la nostra lettera, forse in contemporanea – attendo lumi dalla redazione. Si scrive che siamo contro la genitorialità omosessuale e che la Gpa anche pagata è comunque una scelta, ignorando volutamente i casi di conflitto che obbligano sempre le firmatarie dei contratti californiani, israeliani, ucraini etc a separarsi dai figli. Questo tipo di “giornalismo” si commenta da solo, è non saper né leggere né scrivere. Inoltre con la stigmatizzazione di RUA, la resistenza all’utero in affitto, difende apertamente l’affitto dell’utero, cioè la concezione delle donne come contenitori di figli altrui.

7.3.

All’elenco dei diffamatori si aggiunge Gay.it che, in gentile risposta alla mia richiesta di pubblicazione della lettera, pubblica un articolo di Davide Bonino che travisa come al solito il contenuto di quanto abbiamo sottoscritto, prendendolo per un attacco alle “famiglie arcobaleno” quando si tratta di contestare un certificato di nascita che avrebbe potuto riportare anche una donna o persino due, ma se nessuna di queste è la madre di nascita del figlio il cui certificato di nascita è in questione, il discorso non cambia.

Gay.it è particolarmente ignorante, dato che esulta perché “in Messico la fecondazione assistita diventa un diritto delle coppia gay”. Per quanto duramente e pervicacemente la si provi, la fecondazione di due maschi non ha mai dato origine a una bimba. Ma continuate pure a provare.

 

ricevo un commento :

forse è il fatto più rilevante della sentenza. 

un padre che non è padre ma nemmeno adotta
e si accomoda fin dal principio nel posto della madre cacciata via
marina terragni
un altro commento ricevuto:
“Il continuo dileggio e le continue offese di cui noi donne contro la GPA siamo bersaglio e’ la triste dimostrazione di come le accuse di omofobia nascondano quella che invece e’ la nuda realta’: la profonda lesbofobia, la misoginia, il tentativo di zittire le voci fuori dal coro belante.
Un coro uniformato su quelle che sono unicamente le esigenze maschie sempre piu’ coese e conformi al di la’ dell’orientamento sessuale che non c’entra nulla, visto che la maggioranza dei committenti e’ eterosessuale.
Non stupisce affatto.
Quello che stupisce e’ questa cieca difesa da parte delle donne che ritengono cortese, accogliente ed inclusivo, occuparsi di finti diritti (che sono in realta’ pretese egoiche) maschili anche contro il proprio interesse come donne (interesse per la nostra integrita’, i nostri diritti, la nostra autodeterminazione).
Siamo di fronte ad orse che difendono il diritto del cacciatore ad avere in salotto una bella testa d’orso impagliata. Fa fine e non impegna.
Amalia