Buon compleanno Roe vs Wade
Una folla oceanica si è radunata il 22 gennaio all’Embarcadero di San Francisco, come in molte altre città statunitensi, per ricordare l’anniversario della sentenza della Corte suprema che nel 1973 ha legalizzato l’aborto: Roe vs Wade. Avvicinandosi alla piazza la prima cosa che si vede sono i cartelli gotici con disegni di radiografie di feti, e un sacco di ragazzi e ragazze che si accalcano intorno a un palco enorme. “Sono qui come uomo, perché l’aborto è una questione che riguarda anche noi, che vogliamo essere padri” sento gridare dal megaimpianto di amplificazione. Penso che dev’esserci qualcosa di sbagliato, forse nella mia comprensione della lingua inglese. Solo dopo aver attraversato la folla che innalza madonne e crocifissi arrivo finalmente al raduno dei prochoice, uno sparuto gruppetto bizzarramente vestito (i giovani e le giovani) e recante insegne storiche del NOW e della Planned Parenthood (le vecchie) e della campagna del Nastro d’argento (ancora decisamente vecchiette), che simbolizza la fiducia da avere nelle donne, nonché nella scienza per praticare interruzioni di gravidanza sicure: fiducia che non abortiranno tutti i figli di cui gli uomini vogliono essere padri, ad esempio.
Folla oceanica sì, peccato solo che gli oppositori cattolici fossero duecento a uno rispetto ai sostenitori: 50.000 pro-life “contro” 2-300 pro-choice. Da sette anni a San Francisco la manifestazione che ricorda la data storica del 1973 ed esprime il continuo sostegno al diritto a interrompere la gravidanza in modo sicuro è “clonata” e numericamente stracciata da un raduno di antiabortisti. Dopo i comizi paralleli, comincia la marcia parallela: sul marciapiede la nostra armata Brancaleone, con musica ballabile e costumi carnevaleschi e slogan oltraggiosi quanto inappuntabili, tipo che leccare la pussy è il contraccettivo più sicuro; sulla strada a quattro corsie l’esercito di Dio con canti di chiesa e preghiere e davvero un sacchissimo di ragazzini, nonché folti gruppi di latinoamericani che pregano in spagnolo. Una treenne portata in braccio dal nonno viene edotta sul fatto che noi, da questa parte della strada, andremo tutti all’inferno.
Fa un segno della croce tipo esorcismo rivolto anche verso di me. Per questa volta lascio perdere, sorrido solo alla ragazzina preoccupata. Dimenticavo: in mezzo alle due correnti parallele e contrapposte prima una fila di transenne, poi le transenne finiscono (il percorso è lunghissimo), subentra una fila di poliziotti in bicicletta (!), che poi sparirà (in una dozzina a un certo punto si gettano su un barbone che stava in mezzo ai cristiani, e gli torcono le braccia per mettergli le manette di plastica, come fosse un bambolotto e non un essere umano dolorante) lasciando finalmente le due manifestazioni a contatto. Loro ci ignorano, per lo più, a parte simpatiche risate nel vedere il contingente queer, con slogan sulla venuta di Cristo in senso sessuale, e travestimenti di genere molto molto spinti. Ho pensato che la grande quantità di ragazzini e ragazzine che componevano gran parte della folla dell’altro lato fossero venuti apposta per vedere i queer, i freak, e infatti molti si facevano delle grasse risate, direi sincere e non di scherno.
C’è molto più sforzo di comunicare da parte nostra: “Diritto alla vita, è una menzogna, non vi interessa se le donne muoiono”, di aborto clandestino, si sottende. “Tenete i vostri rosari fuori dalle nostre ovaie” (in inglese fa rima) è il mio slogan preferito, rappato all’infinito. C’è chi cerca di distribuire preservativi (non li accettano), chi grida indignato contro la violenza dell’imporre a tutti la propria concezione religiosa. Gli atei hanno portato uno striscione stile avvertenze ai consumatori del ministero della Sanità: esporsi alla religione può causare molestie ai vostri figli da parte di preti, gravidanze indesiderate, la credenza in fate celesti onnipotenti o la morte come attentatore suicida o per lapidazione.
Una donna – dall’altra parte – porta un cartello che proclama che bisogna crescere e moltiplicarsi, dice la Bibbia. “Non crede che ci sia un problema di sovrappopolazione?” “Dio provvede a ogni bocca da sfamare” “Ah sì? Ma i bambini che muoiono di fame…” La chiacchierata sulla teodicea viene interrotta dal loro servizio d’ordine (dalla nostra parte siamo talmente in pochi che non è sorta questa specializzazione) che le dice di continuare a marciare. Lei obbedisce, e si para il viso con il cartello. “Non puoi parlare?” dico stupitissima.
“Non puoi pensare?” le grido dietro. Non si volta. Ancora dall’altra parte della strada una quantità sterminata di cartelli firmati I Cavalieri di Colombo, il cui emblema è un fascio, da cui spuntano una spada e un’ancora. C’è da dire che sono stati fondati nel 1892, tuttavia… “Sa che sta portando un simbolo fascista’” “No, dove?” era la risposta di quelli a cui gliene poteva fregare qualcosa (pochi). Infine vedo arrivare, in fondo alla manifestazione, lo striscione dei Cavalieri di Colombo in persona!
Un tipo alto, tratti latinoamericani, la faccia anche un po’ sfigurata, regge uno dei bastoni dello striscione. “Salve, voi siete i Cavalieri di Colombo, uau. Che cos’è un cavaliere di colombo?” “Un cavaliere”. Non molto affabile. “Perché portate un simbolo fascista?” “È il nostro simbolo. C’è anche un simbolo massonico”. Testardi, però. Magari riusciranno pure a cambiare il significato di questi simboli, da un orrore all’altro.