Chi detta l’agenda LGBT?
Un comunicato dell’Ufficio nuovi diritti della Cgil nazionale (Pride e documenti politici – Una riflessione) rimprovera i redattori dei documenti politici dei Pride per non aver messo la Gpa tra i diritti da rivendicare. La chiama “una tecnica”, da inserire nella nuova versione della legge 40 (“A chi voglia accedere a queste tecniche”). La Gpa non è una tecnica, ma la gravidanza di una donna, messa al servizio di altri per denaro. L’autodeterminazione che richiede è la facoltà di firmare un contratto – nullo in Italia come nella maggior parte dei paesi d’Europa e del mondo – in cui si rinuncia all’autotutela del proprio corpo e ci si impegna a dare via il corpo altrui, quello del neonato, non certo il proprio. In che senso dunque si tratterebbe di una questione in cui andrebbe affermata l’autodeterminazione delle donne? Non sa la Cgil che nei contratti le donne rinunciano alla decisione sull’aborto a beneficio dei committenti? Come fanno i documenti dei Pride a difendere in una frase la facoltà di ricorrere all’aborto su decisione della donna e in quella successiva a volere la considerazione delle donne come contenitori da cui estrarre “embrioni ridotti” per volontà altrui? Ecco cosa accade in Canada, il paese indicato come esempio per l’eventuale regolamentazione italiana: una donna – tra le tante – costretta ad abortire con ricatti economici dai suoi committenti (http://nationalpost.com/health/canadian-surrogate-pressured-to-eliminate-baby-from-triplet-pregnancy-by-couple).
Nello stesso comunicato di Nuovi diritti si accenna al pericolo che si rinunci ai “diritti delle persone trans”. Azzardo l’illazione che questi “diritti” siano l’introduzione alle “terapie” di blocco della pubertà ai minorenni? Dovrei dire “alle minorenni” perché sono soprattutto loro ad essere devastate nei paesi dove tale violenza medica è consentita. Proprio quelli che saranno le nuove generazioni lesbiche e gay, normalizzati ed omologati con un corpo trans dall’orientamento eterosessuale.
A beneficio di chi vanno queste prese di posizione? Del mercato, di quello sviluppato in California dalle agenzie che mettono le donne sotto contratto (donne che, volendo tenersi i loro figli, non riescono a ottenere giustizia nemmeno dalla Corte Suprema degli Usa, come Melissa Cook), di quello dell’industria farmaceutica che vende ormoni come la triptorelina che si vogliono a carico del SSN (altrimenti chi inizierebbe da minorenne un percorso di transizione?).
L’Onda Pride porta i nostri cortei anche nei piccoli centri, dal nord al sud della penisola: che questo vada a beneficio della nostra visibilità e dei nostri diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, e non dell’indifendibile messa sotto contratto delle donne come operaie della gravidanza, costrette alla consegna dei loro neonati, né dell’altra inqualificabile richiesta di messa a disposizione del corpo delle donne che ho letto in molti di quei documenti: il cosiddetto “sex work” da legalizzare come nell’Ottocento, un “mestiere” che chi lo ha attraversato descrive come subire uno stupro a pagamento.
ArciLesbica per loro è la “veterofemminista che rappresenta solo se stessa”, ma gli eterosessuali dell’Ufficio diritti chi rappresentano esattamente? Chi sussurra all’orecchio di Toniollo?
Proprio ora che si comincia a dialogare: il 26 giugno 2018 si è svolto a Milano l’incontro “Quattro elementi di critica LGBT”, organizzato da Zami nell’ambito della Pride Week, con un pubblico numeroso e attento all’espressione delle riserve di gay, lesbiche, trans e femministe a molti punti dei programmi dell’Onda Pride (principalmente quelli di cui abbiamo parlato sopra), in cui sono intervenuti anche esponenti del Coordinamento Arcobaleno a esporre la propria posizione, in un clima di ascolto e di rispetto reciproco.