Nascere all’università
Al complesso Studium 2000 si è svolta da mercoledì 23 a venerdì 26 la Scuola estiva Nascere e mettere al mondo: sguardi sociali e filosofico politici, collaborazione tra il dipartimento di Storia, società e studi sull’uomo dell’Università del Salento e l’associazione Rinascere al naturale grazie a fondi regionali Adisu e al lavoro multiforme e indefesso di Caterina Annese. Darne un resoconto è una sfida impossibile per la ricchezza delle relazioni e degli interventi dal gruppo delle discenti, per l’intensità dei laboratori esperienziali (sull’assertività, contro il vittimismo – postvittimismo, nelle parole di Vandana Shiva –, per un parto come espressione di benessere), per l’incontro intenso e fortunato tra donne di varie età, provenienze geografiche (anche tra le discenti). È stato un incontro tra una sessantina di donne docenti e discenti sul tema fondamentale della nascita e del parto: i due punti di vista, le due esperienze ricche di competenze della donna che mette al mondo e diventa madre e del neonato o neonata che viene al mondo. Il contesto patriarcale in cui viviamo industrializza e svaluta queste competenze, e fa ritenere la gravidanza una malattia da vivere sotto stretto controllo medico, quando nella stragrande maggioranza dei casi questo momento fondamentale per la vita delle famiglie e dell’intera società può essere vissuto in modo fisiologico, naturale, diventando un momento di espressione della potenza femminile e di grande consapevolezza di ciò che un corpo di donna può fare. Certamente non si vuole introdurre una nuova normatività del parto in casa con l’assistenza di una o più ostetriche, ma diffondere più informazione intorno a questa possibilità, perché le donne possano veramente scegliere – naturalmente anche di non diventare madri, come più relatrici hanno sottolineato.
Gli interventi delle docenti (professioniste, docenti non universitarie, formatrici, ostetriche, femministe, docenti delle università di Venezia, Barcellona, New York City, Orlando in Florida, e del Salento) hanno toccato a tutto tondo i vari aspetti della nascita e del parto: la relazione di apertura della storica Nadia Filippini, in una riuscitissima sintesi del suo lavoro su Generare, partorire, nascere. Una storia dall’antichità alla provetta (2017) ha mostrato come si sia arrivate a considerare normale il parto passivo nell’istituzione ospedaliera, nella posizione sdraiata – ubiquitaria nell’immaginario mediatico – che lo rende più difficile a partoriente e nascituro, non più aiutati dalla forza di gravità. È stato l’Ottocento, il secolo dell’industrializzazione, che ha bandito la sedia gestatoria e in molti paesi ha addirittura eliminato la figura della levatrice, che in Italia è stata invece professionalizzata in ostetrica. Barbara Katz Rothman è stata virtualmente presente in un (difficile) collegamento con New York, e ci ha parlato delle ripercussioni sulla maternità del fatto che il principio dell’economia capitalistica in cui viviamo è “uncaring”, il contrario della cura, l’assenza di responsabilità elevata a valore-guida. Un gruppo di filosofe del progetto internazionale VULFIL, incentrato sull’università di Barcellona, ci ha parlato delle pensatrici, da Hannah Arendt a Marisa Zambrano, che hanno posto la nascita al centro delle loro riflessioni, proponendo un paradigma di pensiero che non prescinde dal nostro corpo incarnato, contro una tradizione filosofica maschile che dà valore soltanto all’astratto, e una società patriarcale dove tutto è guadagno e investimento, mai principio di piacere, come ha sottolineato Marisa Forcina. Uno degli ultimi interventi ha commosso la sala con la visione di un parto in acqua (senza sangue!): l’ostetrica Daiana Foppa ha portato la testimonianza delle sue esperienze lavorative in Alto Adige e in Puglia, mostrando come con poca fatica e molta volontà sarebbe possibile migliorare la situazione delle donne in gravidanza e durante il parto, a partire dalla conoscenza di ciò che concretamente già si fa nel nostro paese.
E poi molto, moltissimo altro, fino alle testimonianze in prima persona di violenze e ingiustizie subite in quanto donne, perché ancora questa è la condizione delle donne nel patriarcato, dove siamo oggetto di invidia, odio e appropriazione maschile, e anche umoristiche, come il racconto della sorpresa e incredulità – buffo! – suscitate dal fatto che un neonato, figlio di una delle presenti, abbia risposto alla sua chiamata in contesto ospedaliero: “L’ha riconosciuta? Ma come è possibile?” hanno esclamato tutti i presenti – a dimostrazione di quanto poco il pubblico in generale sappia della gravidanza e dei suoi legami, del fatto che dai sei mesi di vita l’udito si sia già sviluppato nella/o nascitura/o, della competenza del neonato ad esempio non solo a riconoscere sua madre, ma anche a cercare il suo nutrimento al seno.
Infine una questione tutto sommato secondaria, ma che ha suscitato autorevoli commenti: è stato un bene o un male che ci fosse un unico discente uomo? A parere delle organizzatrici la cosa non è strana, dal momento che l’esperienza del mettere al mondo è un’esperienza femminile, sulla quale informarsi e riflettere soprattutto se il proprio corpo ha questa potenzialità. Ci aspettavamo tante studenti, e oltre a loro abbiamo trovato una platea ricca di professionalità e competenze, dalle ostetriche alle doule, a chi insegna yoga in gravidanza, ad avvocate e attiviste che difendono e diffondono l’autonomia nella gravidanza e del parto contro quella che viene chiamata “violenza ostetrica”, ovvero gli abusi fisici e verbali che le future madri si trovano a vivere a causa della loro condizione, e particolarmente al momento del parto. Che non è affatto (solo) un momento di dolore, ma di gioia e di consapevolezza della potenza femminile.