di Ornella Guzzetti. (xxd 4, febbraio 2011)
VENTIDUE LAUREATE HANNO PARTECIPATO AL PREMIO DI LAUREA IN STUDI SUL LESBISMO E SUL GENERE DI ARCILESBICA. ABBIAMO INTERVISTATO LA VINCITRICE PER LE TESI TRIENNALI, LAURA SCARMONCIN SUL RAPPORTO TRA UNIVERSITÀ E MOVIMENTO.
La premiazione delle quattro vincitrici del concorso dedicato a Moira Ferrari, intellettuale e attivista lesbica mancata nel 2008 a 43 anni, si è svolto il 4 dicembre a Firenze, seguito da un seminario aperto, Visioni del lesbismo e prospettive delle ricerche, sul lesbismo come tema di studio e sul rapporto tra studiose del lesbismo e attiviste lesbiche. Per la sezione Lauree triennali è stata premiata Laura Scarmoncin, che ha presentato un lavoro sul lesbismo nel femminismo radicale italiano degli anni settanta, mentre Marta Gianello Guida ha avuto una menzione di merito per Audre Lorde – A new spelling of our names. Pratiche femministe per la messa in pratica di sé. Tra le lauree specialistiche ha vinto Valentina Colozza, con Formazione dell’identità lesbica e gay: il processo di coming out come fattore di sviluppo e la menzione di merito è andata a Francesca Russiello per un lavoro su orientamento sessuale e diritti negli Stati Uniti, lotta politica, azione giudiziaria e iniziativa legislativa per i diritti delle persone omosessuali dal 1969 al 2009. Facciamo qualche domanda a Scarmoncin sul seminario in cui si è discusso dello stato dell’arte degli studi sul lesbismo e del ruolo conoscitivo delle soggettività lesbiche dentro e fuori l’università italiana. Nell’università italiana ci sono corsi di studio che affrontano il tema dell’omosessualità e dei movimenti gay e lesbici? Nonostante l’impegno costante di alcun* studios*, l’assenza degli studi gay e lesbici resta un elemento distintivo delle nostre università anche se diverse discipline, dalla giurisprudenza, alla sociologia a alla psicologia, sembrano incontrare un momento di crescente interesse verso le questioni legate alle omosessualità, coinvolgendo a vario titolo e motivo studentesse, studenti e docenti non necessariamente lesbiche e gay. Ciò che ha generato un dibattito denso e articolato è stato il tema della soggettività nel suo legame con il processo della ricerca scientifica. Tuttavia, una buona fetta della produzione e della fruizione di lavori a tematica lgbtq si colloca piuttosto negli spazi del movimento o ai suoi margini. Quindi, come si dice, è sempre la categoria oppressa la prima a muovere uno studio su se stessa. Ma l’accademia conosce e vuole occuparsi del movimento? Il movimento viceversa vuole incontrare l’accademia? È evidente l’emergere entusiasta di un sapere sul lesbismo che parte soprattutto dal “basso” con tesi di laurea e dottorato e che inizia – anzi prosegue, per molti aspetti – a incalzare l’istituzione con le proprie domande di esperienza, visibilità e critica. Durante il convegno si è dimostrando come la comunità lesbica – politica, scientifica, amorosa che sia – è capace, o quantomeno ha tutto il potenziale, di indagare i propri stessi strumenti e i modi di azione e di pensiero. Il possibile innesto tra movimento e università, ad esempio, è stato descritto da molte come una via fertile e auspicabile attraverso la quale la politica lesbica potrebbe riuscire a fare breccia nell’accademia, producendo spostamenti critici ed epistemologici rispetto al paradigma eterocentrico. Da parte di altre è stato posto l’accento sull’opportunità di un travaso inverso di orizzonti e stimoli, che può avvenire quando il sapere accademico incontra e interroga il movimento a partire dai propri peculiari piani teorici e riflessivi, spingendo così a una costante revisione e risignificazione delle categorie e degli obiettivi politici in campo. Ma rispetto a ciò alcune hanno espresso una certa diffidenza, intravvedendo nell’istituzionalizzazione dell’eccentricità, carattere distintivo dell’esperienza e della politica lesbica, un rischio di normalizzazione. Si è parlato anche di una possibile “perdita di soggettività nel diventare oggetti di conoscenza”, legata anche al fatto che i saperi lgbtq storicamente sono nati al di fuori e spesso in opposizione alle comunità scientifiche e soltanto come tali hanno potuto esprimere la propria alterità de costruttiva. Conta essere omosessuale rispetto a questo oggetto di ricerca? Individue e individui non omosessuali possono occuparsi di studi gay e lesbici? A molte è sembrata sostanziale la differenza tra “studi del lesbismo” e “studi sul lesbismo”, ovvero tra un sapere prodotto dalle lesbiche su se stesse e un sapere sulle lesbiche prodotto da qualsiasi soggettività, mentre altre hanno voluto stemperarla. Alcune hanno definito l’esperienza personale del lesbismo come una risorsa di conoscenza e riflessione privilegiata, capace di produrre nel fare ricerca un posizionamento consapevole, autorevole e soprattutto vigile e critico contro la facile assimilazione di questo sapere alle categorie dominanti. Secondo altre invece, “le lesbiche non hanno la verità sullo studio del lesbismo” e questa concezione del posizionamento rischierebbe di scivolare in una presunzione di legittimità e di valore che porta a non ammettere altri punti di vista. Piuttosto, esso dovrebbe realizzarsi in un’assunzione di responsabilità intellettuale verso il proprio sapere, che renda espliciti gli intrecci – e i limiti di essi – tra soggettività, presupposti, scopi e metodi dello studio. La scelta di occuparsi di argomenti a tematica lesbica, per te e per le altre partecipanti lesbiche, ha rappresentato la possibilità e la volontà di una costruzione di coscienza e identità, oltre che di coming out? Indubbiamente. Alcune hanno accostato alla propria esperienza di ricerca anche una biografia legata se non persino guidata dal lavoro di ricerca, sottolineando come questo legame sia stato importante, e spesso fondamentale, per un percorso politico di consapevolezza e rivendicazione, ma anche per un processo psichico e sociale di visibilità e un lavoro individuale sulla propria interiorità
nessuna colpa, nessuna vergogna!
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