UN ALTRO PORNO É POSSIBILE

di Slavina. (xxd 10, settembre 2011)
ALLA MUESTRA MARRANA DI BARCELLONA TRA MADRI, STREGHE E ZOMBIE: GRANDE PRESENZA ITALIANA AL FESTIVAL POSTPORNOGRAFICO
Rinnova il tuo immaginario pornografico”. Questo slogan non è un invito a chi ancora pensa che possano esistere soltanto rappresentazioni maschiliste e degradanti della sessualitá ma è anche il leitmotiv del festival Muestra Marrana. La kermesse, che a luglio di quest’ anno è giunta alla sua quarta edizione, è un classico nel panorama degli eventi internazionali legati alla postpornografia. Nata nel 2008 a Barcellona, nelle case occupate di Magdalenes, la Muestra Marrana negli anni ha cambiato location viaggiando per la Spagna (si definisce, infatti, evento nomade) e ha visto l’ avvicendarsi di soggettivitá e gruppi differenti nella sua organizzazione. Non sono cambiati, invece, lo spirito di autogestione che la contraddistingue sin dagli inizi (é autofinanziata e l’ingresso alle proiezioni gratuito) né il suo slogan, che ben rappresenta la filosofia del progetto. Dare visibilitá a sessualitá marginali e sovversive, far circolare produzioni indipendenti che superano i confini di ció che comunemente é considerato pornografico, godere collettivamente di opere di culto del passato che hanno attraversato il mainstream come virus: sugli schermi della Muestra passano materiali audiovisuali di diverso genere, stile e natura provenienti da tutto il mondo e tesi ad esplorare e rappresentare in maniera originale ed inedita i territori del desiderio, della sessualitá e delle pratiche ad essi connesse. Se consideriamo la pornografia come tecnologia di genere, il suo utilizzo strategico e la sua fruizione collettiva possono essere unostrumento di crescita politica la postpornografia non é meccanica nè meramente masturbatoria, ma illustra le infinite possibilitá performative della sessualitá umana. L’ edizione 2011 del festival meno politically correct di questo emisfero (marrana in spagnolo vuol dire maiala) si è svolta durante un lungo weekend di proiezioni, presentazioni, performance e dibattiti; tre giornate strutturate su diversi assi tematici e caratterizzate da una presenza e un’ assenza, entrambe di enorme peso. Il venerdì , primo giorno di proiezioni dedicato ai cortometraggi Do It Yourself, ha visto una significativa presenza italiana, con Road Movie di Rosario Gallardo (nome collettivo degli autori del blog Pornoguerrilla.com, antesignani dell’autoproduzione pornografica, sulla scena da 13 anni) e Lustameros delle Frangette Estreme di Bologna, ricerca iconografica sulle narrazioni carnali. Da segnalare anche il pregevole documentario RL di Maria Llopis, che racconta le avventure in Second Life di una donna che, attraversando una difficile fase della sua vita, sceglie di vivere da hikikomori, cioè sospendendo le sue relazioni con l’esterno e vivendole attraverso un avatar digitale (sessualitá compresa). Funestata da innumerevoli problemi tecnici (un involontario, simbolico omaggio alle difficoltá dell’ autoproduzione) la serata si è conclusa con la divertente performance live Mazmovil del gruppo USB, collettivo che riunisce elementi di spicco dell’ ambiente postporno di Barcellona. La giornata di sabato è stata un omaggio alle maternitá sovversive e si è aperta con l’ ospite d’ onore della Muestra Annie Sprinkle, vera e propria madre della postpornografia. L’ artista statunitense ha ripercorso, in un’ affollatissima conferenza, le tappe salienti della sua lunga carriera di puttana multimediale, come lei stessa si definisce. Ironica e scanzonata, sulla soglia dei sessanta, la Sprinkle é depositaria di un variegato patrimonio della controcultura (dalle lotte per le libertá sessuali a quelle per i diritti civili delle persone prostitute, alla body art piú o meno concettuale fino alle piú recenti battaglie ecologiste) ed è capace di trasmetterlo con leggerezza e senza ansie autocelebrative. A conclusione della programmazione della serata, la matura postporn star ha poi ripetuto la sua celeberrima The Public Cervix Announcement. Durante la performance, ideata alla fine degli anni ottanta, la Sprinkle ha mostrato e spiegato l’ interno della sua vagina al pubblico attraverso uno speculum, dicendosi onorata di tornare a farlo per la Muestra dopo tanto tempo (e per la prima volta da quando è in menopausa). L’emozione della Sprinkle è stata anche un riconoscimento al valore artistico ed espressivo delle performance che l’ hanno preceduta: Pornocapitalismo, delle VideoArmsIdeas e El amor verdugo, show sanguinolento delle italiane Tiger Orchid e Antares Misandria. Il dibattito saliente della serata è stato animato da Maria Llopis e ha riguardato la sessualitá in gravidanza e le sue rappresentazioni, illustrate da frammenti di film di Belladonna e Madison Young. A conclusione della vivace discussione, la premiere di Alien baby, un video realizzato per l’ occasione da Helen Torres, la piú famosa delle madri marrane. L’ ultimo giorno della Muestra era domenica e non sembrava quasi piú estate. Il cielo coperto, oscurato già dal pomeriggio, ha accompagnato il momento piú doloroso del festival, quello in cui si è materializzata l’ assenza di Patricia Heras, una delle organizzatrici delle passate edizioni morta suicida nell’ aprile scorso. Heras, vittima di una vicenda di malagiustizia per la quale era intervenuta (invano, purtroppo) anche Amnesty International, è stata ricordata con Nekromantic, Otto or up with dead people di Bruce La Bruce e lo spaventoso manga Midori. Una programmazione dedicata alle passioni e alle ossessioni della marrana defunta, piú che mai presente nelle parole delle organizzatrici di quest’ anno: Diana Pornoterrorista, Klau Kinki e Lucy Sombra. Quest’ ultima, attraverso la collaborazione con il collettivo Minipimer, si è occupata della trasmissione in streaming dell’ evento, dando la possibilitá anche a chi non poteva essere presente di visionare film e presentazioni http://muestramarrana.org

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IL BUSINESS DELL’ORGASMO FEMMINILE

di Stefania Prandi. (xxd 10, settembre 2011)
INTERVISTA A LIZ CANNER, AUTRICE E REGISTA DI ORGAMS INC, DOCUMENTARIO CHE INDAGA SUL BUSINESS DELLE CASE FARMACEUTICHE AMERICANE CHE SPECULANO SULL’ ORGASMO FEMMINILE E LE SUE PRESUNTE DISFUNZIONI, IN CARTELLONE AL SOME PREFER CAKE, FESTIVAL DI BOLOGNA
Perché le case farmaceutiche sono così interessate al piacere femminile? I media americani parlano delle disfunzioni del piacere femminile come se fossero femminile come se fossero sempre esistite e invece sono una “scoperta” della fine degli anni Novanta. Quando è stato messo in commercio il Viagra per uomini è stato un tale successo che gruppi farmaceutici come Pfizer hanno cominciato a pensare che ci potesse essere qualcosa di altrettanto redditizio anche per le donne. Il problema era che, per sviluppare e testare un nuovo farmaco, la Food and drug administration chiedeva che ci fosse una chiara definizione della malattia. Pfizer e altre case farmaceutiche hanno quindi sponsorizzato il primo convegno sulle disfunzioni sessuali femminili. Diciotto dei diciannove autori di questa definizione avevano legami con 22 aziende farmaceutiche. Questa definizione tra l’ altro è estremamente vaga perché include qualsiasi disturbo sessuale, indipendentemente dalla causa. Quanti soldi muove questo business? È un’ industria che muove miliardi di dollari ogni anno. È la terza industria più redditizia del mondo. ma le disfunzioni sessuali femminili esistono davvero? Si tratta di disturbi particolari che vengono riconosciuti in base a un’ autodiagnosi e perché rappresentano un problema. In altre parole, se nella propria vita non si è mai sentito un briciolo di desiderio sessuale oppure non si è mai provato un orgasmo, e questo non rappresenta un problema, allora non si è malati. Certo, ci sono condizioni fisiologiche come il diabete e l’ isterectomia (rimozione chirurgica dell’ utero, ndr), che causano disfunzioni sessuali. Ma la stragrande maggioranza dei problemi sessuali delle donne sono dovuti a condizioni socioculturali come abusi, problemi relazionali, scarsa educazione sessuale e stress per troppo lavoro. Il fatto è che il grado di soddisfazione sessuale dipende dalle aspettative. Se l’ industria farmaceutica, attraverso un marketing d’ assalto, riesce a far credere alle donne che devono avere un orgasmo ogni volta che hanno un rapporto oppure che a 60 anni devono avere la stessa libido che avevano a 20, allora saranno in molte a pensare di avere un disturbo. Quante sono le donne che realmente soffrono di disfunzioni sessuali? Secondo le statistiche sarebbero il 43% delle donne. La prima volta che ho sentito questo numero era il 2000 e stavo lavorando per un’ industria farmaceutica. Ho pensato: se davvero è un disturbo così diffuso perché mia madre e le mie amiche non me ne avevano mai parlato? Non avevo infatti mai sentito parlare di questo prima. dunque si è creato un problema che in realtà non c’ è? In realtà questo è sempre successo. Ai tempi delle nostre nonne si pensava che le donne con poco desiderio sessuale soffrissero di frigidità. Dai movimenti femministi degli anni 60 e 70 termini come ninfomania e frigidità non venivano più usati, la patologizzazione e la medicalizzazione dell’ esperienza sessuale delle donne erano state sfidate. Di recente si è tornati indietro. Il calo di desiderio viene considerato un disturbo sessuale e ci sono spray, pillole, creme e cerotti per combatterlo. È davvero curioso che si stia lavorando a medicine per il desiderio delle donne. Chi penserebbe di creare le stesse medicine per gli uomini? Ci sono alternative alle medicine per chi pensa di soffrire di un disturbo sessuale? Prima di tutto è importante sapere che il 70% delle donne ha bisogno di una stimolazione diretta della clitoride per provare un orgasmo durante il rapporto sessuale. Questo significa che può essere utile usare i vibratori, ad esempio, per migliorare l’ esperienza sessuale. Se l’ idea di usare sex toys non piace ci sono sex coach o terapiste che possono aiutare le donne a superare i traumi del passato e dare loro gli strumenti per comunicare meglio con il proprio partner. Ci sono anche ottimi libri per conoscersi meglio. Il segreto è capire che cosa ci fa stare bene. L’ esperienza sessuale è qualcosa di individuale, non c’ è una norma da seguire. se lei potesse creare un prodotto per donne, quale sarebbe? L’ unico prodotto che potrebbe aiutare le donne sarebbe qualcosa che le facesse sentire bene con il proprio corpo, che ponesse fine agli abusi sessuali, che creasse uguaglianza sul posto di lavoro e nelle relazioni, che desse alle donne un buona educazione sessuale. Perché non esiste una pillola così ? nel documentario Orgasm inc c’ è una donna che accetta di farsi installare un dispositivo spinale per riuscire ad avere un orgasmo attraverso uno stimolo esterno regolato da un telecomando. Che cosa ne pensa di questa pratica? La donna si chiama Charletta e ha subito un’ operazione molto dolorosa per farsi installare l’ Orgasmometro. L’ unico risultato però è stato che la sua gamba si muoveva in modo incontrollato. Charletta pensava di avere una disfunzione perché non aveva mai provato un orgasmo in vita sua. Il medico da cui era andata le aveva fatto credere che con l’ operazione sarebbe guarita. Ma come si fa a dire una cosa del genere? Non c’ è una norma né studi medici che stabiliscono che le donne dovrebbero avere cinque orgasmi al mese, ad esempio. Certo, sarebbe bello avere un orgasmo ogni volte che si vuole, ma non funziona così . da dove è nata l’ idea del documentario e quanto tempo hai impiegato a realizzarlo? Dopo dieci anni che facevo documentari sui diritti umani e su temi come il genocidio, gli abusi della polizia, la povertà nel mondo, le immagini dei film che facevo mi avevano depressa sullo stato dell’ umanità e mi facevano venire gli incubi. Ho quindi cercato un progetto nuovo che sarebbe dovuto essere la storia della scienza del piacere femminile. In realtà mentre ero a metà del film mi è stato offerto un lavoro per montare dei video erotici per una società farmaceutica che stava creando una crema per l’ orgasmo delle donne. Il video doveva essere proiettato in una clinica che sperimentava nuove medicine. Ho accettato il lavoro e questo mi ha fatto accedere a un mondo segreto che poi è quello che ho raccontato

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UN’ABBUFFATA DI CINEMA LESBICO E NON

di Elisa Coco. (xxd 10, settembre 2011)
DAL 22 AL 25 SETTEMBRE TORNA A BOLOGNA SOME PREFER CAKE, IL FESTIVAL INTERNAZIONALE DIRETTO DA LUKI MASSA CHE PROPONE FILM E DOCUMENTARI A TEMATICA LESBICA E FEMMINISTA DA TUTTO IL MONDO
Celebrare la ricchezza del cinema lesbico e femminista. Questo l’intento di Some Prefer Cake, unico in Italia, tra i festival cinematografici LGBTQ, a occuparsi esclusivamente di cinema delle donne. Dribblando abilmente tra il vittimismo e la normalizzazione, registri retorici e immaginari in cui si rischia troppo spesso di rimanere intrappolate, il festival seleziona decine di film della cinematografia lesbica e femminista. Una cernita fatta tra i lungometraggi prodotti internazionalmente ogni anno e tra quelli realizzati da tempo ma mai resi accessibili al pubblico nostrano, accogliendo anche opere dedicate a riflessioni sul genere e alle lotte e alle protagoniste dei movimenti femministi. La quinta edizione si svolgerà dal 22 al 25 settembre al Nuovo Cinema Nosadella di Bologna, con un tema che intreccia il cinema e gli altri linguaggi dell’espressione creativa. Per la letteratura si tratta soprattutto di trasposizioni cinematografiche o televisive di opere letterarie (di autrici come Jeannette Winterson e Sarah Waters), con l’eccezione di Daphne, che della scrittrice non racconta l’opera bensì la vita: Daphne du Maurier, autrice di numerosi romanzi, tra cui Rebecca, da cui Hitchcock trasse l’omonimo film. Per la musica il festival propone una suggestiva ricerca sulle protagoniste della Harlem Renaissance e su tutte le musiciste che, in varie epoche, si travestivano da uomini per poter suonare in pubblico e cantare le donne e l’amore lesbico. A questo proposito sono da citare i due documentari International Sweethearts of Rhythm, sulla jazz band femminile che tra la fine degli anni 30 e i primi 40 sfidò le leggi razziali del sud degli Stati Uniti con la sua composizione interrazziale, e Tiny and Ruby: Hell Divin’ Women, ritratto della leggendaria trombettista jazz Tiny Davis e della batterista Ruby Lucas, sua compagna per quarant’anni. Sarà un’occasione incontrarne le autrici, le statunitensi Greta Schiller e Andrea Weiss, tra le più importanti registe lesbiche a livello mondiale, presenti al festival il 24 settembre. Nella sezione arte saranno proiettati i due corti con cui Barbara Hammer, protagonista del cinema sperimentale mondiale, ha vinto la Berlinale 2011, Generations e Maya Deren’s Sink, e due documentari che descrivono esperienze di lotta politica attraverso l’arte. Difficoult love racconta l’attivismo visuale dell’artista lesbica nera sudafricana Zanele Muholi, che ha reso, nella plasticità delle sue fotografie, la carica politica dei corpi: corpi di donne nere, di giovani zulu, di attivisti per i diritti umani, il suo stesso corpo ritratto assieme a quello della sua partner bianca. !Women art Revolution è invece una eccezionale testimonianza del Feminist Art Movement statunitense realizzata da una delle stesse protagoniste, Lynn Hershman Leeson. Il documentario, ospitato in numerosi festival negli Stati Uniti (tra cui il Sundance) e in Europa (Berlinale) e mai proiettato prima in Italia, è il frutto del laborioso montaggio di oltre 1000 ore di girato raccolto in 42 anni: documentazioni inedite, video e decine di interviste ad artiste, curatrici, critiche e storiche dell’arte che raccontano la totale estromissione delle donne dalle istituzioni artistiche, musei, gallerie, riviste, università, libri di testo. Il documentario inizia con brevi interviste a visitatori del Withney Museum di New York e del San Francisco Museum of Modern Art che, alla richiesta di indicare tre artiste donne, non riescono a trovare altri nomi oltre quello di Frida Khalo: Why are there no great women artists? domandava provocatoriamente Linda Nochlin 35 anni prima. Attraverso un movimento continuo avanti e indietro negli anni, il film ricostruisce le battaglie delle donne organizzatesi nel WAR, Women Artists in Revolution, a partire dal 1969, sotto la spinta di Judy Chicago e Nancy Spero: il rapporto con i movimenti per i diritti civili e contro la guerra, i picchetti e le proteste davanti a musei e gallerie, le prime esperienze formative sull’arte femminista, le stanze tutte per sé della Womanhouse a Hollywood, del Women’s Building a Los Angeles, della galleria A.I.R a New York, le riviste di critica femminista Chrysalis e Heresies. Attraverso numerosissime voci !WAR racconta anche l’emergere nel lavoro artistico di temi come l’autocoscienza, il rifiuto dei ruoli tradizionali, l’identità di genere e razziale, la violenza e lo stupro, la sessualità, l’immagine mediatica del femminile. Le lotte delle artiste statunitensi che hanno rivoluzionato l’arte e il pensiero occidentali ci aiutano a riflettere su un altro dei temi che il festival affronta, la questione della patologizzazione e medicalizzazione del piacere femminile operata ormai da anni negli Stati Uniti dalle multinazionali del farmaco, denunciata con intelligente ironia dalla regista Liz Canner in Orgasm Inc.: attraverso la potentissima macchina di realtà che sono i media, sono stati costruiti ad arte una percezione diffusa e il relativo allarme sociale sulle cosiddette disfunzioni sessuali femminili. Il non raggiungimento dell’orgasmo – ma di quale immaginario dell’orgasmo stiamo parlando? Quale la normalità che definisce la dis/funzionalità? – che riguarderebbe secondo uno studio quaranta milioni di donne solo in America, invece di mettere in discussione le relazioni tra i generi, l’eterosessualità obbligatoria, la violenza, la scarsa conoscenza del corpo e del piacere femminili, la mancanza di educazione sessuale, diventa, o piuttosto ritorna ad essere, un problema fisiologico delle donne, da risolvere attraverso cure farmacologiche, ormonali e chirurgiche inutili, invasive e pericolose, fino all’estremo della vaginoplastica, vera e propria mutilazione genitale femminile. Al festival ci sono poi tre sezioni OURstories, ANIMAtion e tHEoRy, riferite al documentario, all’ animazione e alle elaborazioni teoriche su lesbismo e questioni di genere – si pensi al tema genere-corpo e tecnologia affrontato nel documentario con Donna Haraway, in prima italiana, No Gravity o alle riflessioni sul percorso FtM in Guerriller@s. Gli altri film in programma a Some Prefer Cake, oltre alle immancabili storie di amore lesbico, toccano temi come il rapporto tra amicizia e desiderio, la vecchiaia, le relazioni di cura fra donne, i modelli familiari alternativi, la maternità lesbica, la prostituzione tra donne, la visibilità, il rapporto tra genere e tecnologia

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SULLA POLITICA E OGNI ALTRA INGIUSTIZIA

di Stefania Doglioli (xxd 10, settembre 2011)
Il primo ominide di cui si abbia traccia è una “donninide”, una femmina. Si chiama Ardi e ha vissuto oltre 4,4 milioni di anni fa. Un tempo piuttosto difficile da immaginare. Un tempo che nessuno degli studi che ho fatto mi aiuta a comprendere, ma che mi affascina. Una risposta frequente a molte mie domande, fin da quando ero bambina è “non è ancora tempo”. Molte cose hanno concorso a farmi credere che il tempo sia davvero molto importante e che sia quasi la causa, indipendente da tutto il resto, di ciò che mi accade. Di ciò che ci accade. 4,4 milioni di anni però, pur non riuscendo a immaginarli veramente, mi sembrano un tempo sufficiente a rispondere a ogni cosa, a evadere ogni domanda, a soddisfare ogni curiosità, a sperimentare ogni idea, anche la più folle. Mi sembrano un tempo sufficiente a sopprimere ogni ingiustizia. E perfino ad accorgersi di ogni ingiustizia. Dopo tutto questo tempo noi moderne Ardi ci ritroviamo a essere le più esposte agli effetti della crisi, troppo poco rappresentate nei luoghi di potere, eternamente affannate nel cercare di fare ascoltare voci che emettono suoni forse a errata frequenza, mediatrici culturali di noi stesse, incapaci di riconoscerci in una lingua comune, troppo spesso timorose nell’imparare quella dei luoghi appena appena fuori dalla porta che ci è stata assegnata. Che rapporto c’è tra la cronaca e il tempo? Tra ciò che è stato fatto e ciò che possiamo fare ora? Purtroppo temo che il tempo non sia la risposta e non ci serva affatto “dar tempo al tempo”. Mi dico che non ha alcun senso continuare ad aspettare, non è ragionevole pensare che i tempi non siano pronti, tanto meno immaginare che il futuro sarà la scena sulla quale si avvereranno i nostri desideri. Gli infiniti atti mancati della storia delle donne, così come i suoi ricorsi e i suoi ostacoli, pieni di paradossi e di indifferenza, mi suggeriscono di essere attenta al tempo della mia storia, che coincide con quello della mia vita e a cui posso affidare un tesoro ristretto di desideri e azioni. Storia di cui tra l’altro non possiedo passato o futuro, ma solo il presente. E proprio per questo voglio leggere in uno slogan come “se non ora quando”, ormai famoso grazie alla cronaca del nostro tempo più recente, non la negazione di ciò che è stato fatto fino a ora, non la scelta di questo tempo come di un tempo migliore di ogni altro, nessuna maturità, nessuna possibilità in più, semplicemente la consapevolezza di non doversi affidare al tempo per smettere di essere trattate come cagne. E non saltate sulla sedia per questa affermazione, non è esagerata, non è una “frase a effetto”. Si tratta solo di descrivere una semplice evidenza. È dei cani, e delle cagne, che si pensa diventino buoni, e buone, bastonandol*, e se ciò non accade, non solo ci si stupisce ma l* si abbatte. Ed è perché si ha paura che mordano che le donne vengono da sempre bastonate, ma allo stesso tempo è perché si pensa che le donne, così adeguatamente e costantemente bastonate, possano essere più buone e meglio addestrate che a volte si permette loro di raggiungere alcuni “posti”, “posizioni”. Quando a volte ci si accorge che non sempre è così ci si stupisce e – incredibile paradosso – le stesse donne troppo spesso affermano che dobbiamo accedere al potere perché saremo migliori, probabilmente in virtù delle bastonate. Io vorrei questo prima di ogni altra cosa: smettere di essere considerata una cagna, liberarmi da ossi e bastoni e cominciare a essere riconosciuta come una cittadina. Io vorrei che la smettessimo di dover dimostrare chi siamo. Tra l’altro neppure lo sappiamo con certezza. I diritti, quelli sanciti nella carta dei diritti dell’uomo, (sarà forse anche per il titolo che altre identità non riescono a ottenerli), non si conquistano affermando i propri meriti, a meno che non si pensi che la differenza sia anche inferiorità e si debba dimostrare il contrario.

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UNA DONNA AL MESE – XXD 11

In prima elementare nel cortile della scuola la maestra ci ha proposto una gara di corsa. Io ho corso più forte che potevo e dietro a me ho lasciato tutta la classe. Ho sempre avuto le gambe lunghe. Però alle mie spalle un bambino si è lamentato con la maestra perché non era giusto che una bambina corresse più dei maschi, che non era normale che la corsa finisse così. Lo stesso accadde quando fu letto in classe il mio riassunto come lavoro esemplare. Un bambino disse che non era possibile che venisse letto solo quello di una bambina, perché non era quello di un maschio il migliore? Non pensavo, allora, che fosse quel bambino ad avere dei problemi. Da quel momento alcune questioni prima senza importanza acquistarono un senso, una spiegazione. Si cominciò a concretizzare dentro di me l’idea che ero nata dalla parte sbagliata, tra le svantaggiate della società, che sarebbe stato meglio essere un maschio. Ho realizzato cosa ci si aspettava da noi nate femmine: dovevi per cortesia esimerti dal fare alcune cose e lasciare correre i maschi. “Cosa farai da grande?” “Studierò finche si può andare a scuola, quale è la classe massima a cui si può arrivare?” “No, l’università no: devi sceglierti uno che ti piace e conquistarlo e poi sposarlo”. “Che lavoro farai da grande?” “L’astronauta” “No, non ci sono astronauti donne. Ha, ha, ha, che bambina stupida,quelle cose non le puoi fare”. Va bene, le farò di nascosto. E ho sempre creduto fermamente che le cose sarebbero cambiate, un giorno. Erano gli inizi degli anni ’70 nel nord d’Italia. Vedevamo le femministe in televisione. Farò di nascosto la femminista allora. E farò le cose da maschio. Poi alle medie ho dovuto arrendermi al fatto che mi crescevano le tette, anche se mi ingobbivo e le nascondevo tra l spalle; ero una femmina, anche se ero alta 1 metro e 70 e portavo già il 40 di scarpe. Ero diversa dai maschi anni luce sia fisicamente che sessualmente, sia come sensibilità che intelligenza. Non era meglio o peggio, era diverso. E decisi che, se era difficile da accettare di essere nata donna, era anche bellissimo da vivere. Proprio così, me lo ricordo ancora, chissà come mi è venuto in mente. Forse perché mi si aprirono le infinite possibilità di divertimento che l’avere due tette e una vulva permetteva. Parlo di masturbazione, ai tempi. Forse avevo cominciato a rendermi conto che se fossi nata maschio non avrei potuto sfuggire alla loro innata predisposizione a fare branco e a competere. Una cosa insopportabile, anche ora. Però adesso le cose sono cambiate. Al contrario di quello che mi dicevano da bambina, ora noi possiamo. Io non sono un’astronauta. Ma magari quando sarò vecchia mi consolerà con il turismo di massa nello spazio, chi può dirlo? Mi sono emozionata quando la prima donna astronauta ha fatto un viaggio spaziale. Invece quando è esploso lo shuttle con la maestra a bordo mi è sembrato quasi un segno dei tempi, anzi degli astri.

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HOW TO BE A WOMAN

di Ava Jackson. (xxd 11, ottobre 2011)
COME ESSERE UNA DONNA È UNA PANORAMICA ESILARANTE E SPENSIERATA SULLE TRAPPOLE CHE LE DONNE CONTEMPORANEE INCONTRANO QUOTIDIANAMENTE, DALLA CHIRURGIA PLASTICA ALLA BIANCHERIA ULTRARIDOTTA.
Caitlin Moran è una figura affermata della stampa d’ oltremanica: collaboratrice di The Times fin dall’ età di 17 anni è una delle voci più ammirate del quotidiano britannico – e si è imposta come modello di ruolo per molte giovani. Donna spiritosa e “femminista tosta”, come lei stessa si definisce, sarebbe la persona più adatta a sfatare la nenia rifritta che le femministe hanno poco senso dell’ umorismo. Moran poteva suggerire a una nuova generazione di donne l’ idea che si può essere femministe senza troppi danni di immagine. Il suo libro How to be a woman poteva essere l’ occasione per lasciare un’ impronta un po’ come è stato con L’ eunuco femmina di Germaine Greer (che da giovane l’ aveva ispirata a dichiararsi femminista). Ma l’ effetto ottenuto è molto simile a quello prodotto dalla lettura di una delle sue rubriche: si legge volentieri e poi, un po’ come si fa con un quotidiano, l’ indomani viene naturale passare ad altro. Niente si fissa in modo permanente. Ciò non toglie che come manuale di auto-aiuto per mettere in pratica una “politica di tolleranza zero a tutte le cazzate del patriarcato”, qualche pregio How To Be a Woman ce l’ ha. La cartina al tornasole prediletta dall’ autrice per identificare il sessismo (“Ma gli uomini lo fanno?”) è ottima per stanare ogni trappola sessista, anche la più insidiosa, persino quelle a cui siamo legate fin dalla tenera età. Tolta questa chicca ci sono ben poche cose da imparare. Ma se siete fans degli spunti satirici di Moran sulla cultura popolare non resterete deluse. Nel suo essere “un po’ memoir, un po’ sfuriata” offre una miscela talmente calibrata di pathos e stoccate che non può non invogliare a continuare la lettura. Come memoir funziona benissimo, come opera femminista l’ obiettivo ultimo è un po’ più sfuggente… ma la sfuriata si sente tutta. How To Be a Woman è un compendio di cultura popolare sull’ essere femminista in un mondo post-femminista. Moran fotografa la situazione femminile e suggerisce come destreggiarvisi. Non dice nulla di come fare a cambiare le cose e nel rivolgersi alle tematiche seguenti si concentra sui sintomi culturali (non sulle cause): pornografia, cura del proprio aspetto, seni e reggiseni, ciccia, rapporto tra flirtare e sessismo, Botox, danza del ventre, se si debba o no pagare qualcuno per fare le pulizie di casa, neonati e aborto. Desolanti macerie dei tempi moderni. Ed è su questo terreno che sistematicamente l’ autrice cerca di riconciliare il suo amore per gli uomini e la sua ardente identità femminista – in maniera quasi troppo educata. La dichiarazione finale che avrebbe sempre voluto essere “uno di loro” tradisce la sua consapevolezza di quanto si sia ancora lontane dalla meta. Per definire il femminismo non è necessario tirare sempre in ballo reggiseni, non accettazione del proprio corpo e consumismo. E soprattutto, non si dovrebbero aggirare i problemi reali alla base della causa femminista – l’ ingiustizia politica e sociale – per paura di risultare poco simpatiche. Ed è un peccato che la narrazione non serva ad altro che a inserire Moran tra le donne post-moderne della bolla mediatica post-femminista. L’ autrice va a sollevar questioni che le donne discutono fervidamente al pub. Non è difficile riconoscersi in quelle insicurezze e tradimenti, e siamo d’ accordo che siano questioni femministe, ma di fatto non sono risolvibili facendoci sopra un paio di risate al bar. Il merito fondamentale del libro sta nell’ aver tentato di rendere il femminismo meno astratto con la testimonianza del percorso dell’ autrice. Il messaggio principale è cristallino: il femminismo non deve essere per forza un anacronismo. Chiunque abbia sfogliato una rivista femminile o provato sulla propria pelle il fastidio di un commento sessista detto “tanto per scherzare” lo può testimoniare. La svalorizzazione consuma, sia che si tratti di discriminazione salariale, di violenza domestica o di impertinenze puerili; è pesante essere ‘l’altra parte’ in una società piagata dalla discriminazione in tutte le sue declinazioni: che sia relativa al genere, all’ orientamento sessuale, alla classe sociale o all’ etnia. Oggi il femminismo è importante tanto quanto lo era ieri, eppure sulla sua definizio negravano ancora stereotipi negativi. Su questo fronte l’ autrice – in qualità di “femminista tosta”, donna spiritosa, di successo e sicura di sé – fa la sua parte per la causa anche se resta sempre un po’ in punta di piedi. È mossa da nobilissime intenzioni. E non è cosa da poco in un periodo in cui parlare di femminismo va molto di moda. Negli ultimi mesi si è cercato di identificare il valore del femminismo nei mezzi di comunicazione più disparati e la definizione più frequente è parsa sempre ricadere nella sua apparente novità (Slut Walks – marce delle zoccole – e simili). Moran non parte mai dal presupposto che essere femminista sia inconciliabile con la positività della differenza dell’ essere donna. Sostiene anzi che dovrebbe essere proprio intrinseco a chi siamo. Per le giovani oppresse da eccesso di autocritica e dubbi un’ occhiata a How To Be a Woman è d’ obbligo; vi assicuro che non troverete libri altrettanto sfacciati, imbarazzanti ed esilaranti nella loro onestà. Le parole di Caitlin Moran vi coglieranno alla sprovvista, vi libereranno dalla timidezza. E se non è vostra abitudine definirvi femministe, questo libro potrebbe addirittura farvi cambiare idea.

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LO STALKER E L’ULTIMO APPUNTAMENTO

di Ornella Guzzetti. (xxd 11, ottobre 2011)
IL 15 E 16 SETTEMBRE A MILANO SI SONO INCONTRATI RAPPRESENTANTI DI ENTI, ASSOCIAZIONI E CENTRI CHE LAVORANO SUL CONFLITTO E LA VIOLENZA PER DISCUTERE DI STALKING, MALTRATTAMENTI, ABUSI: STRATEGIE E MODELLI DI INTERVENTO.
Gli uomini violenti non lo sono mai anche con colleghi, datori di lavoro, amici ma solo con le donne” è una considerazione fatta da Barbara Tommasi, responsabile delle politiche di genere della provincia di Milano, che ha coordinato la sessione del convegno su stalking e maltrattamenti. Perché solo mogli e compagne siano le vittime predestinate dagli uomini violenti non è stato chiarito veramente ma, rispetto al caso italiano, sono stati snocciolati dati e casistiche che tracciano l’identikit dello stalker e fanno il punto sugli interventi resi possibili dal fatto che gli atti persecutori sono un reato penale dopo la legge del 2009, con aggravanti nel caso si tratti di coniuge legalmente separato o divorziato o di persona che sia stata legata da relazione affettiva. Le persecuzioni cominciano infatti quando la donna mette fine alla storia. A differenza delle vittime di violenza domestica che denunciano e poi ritrattano, che si riconciliano e ricominciano la relazione con il partner violento – con un comportamento che è stato considerato ‘ambivalente’ dalla vice dirigente della Squadra mobile di Milano Alessandra Simone – le donne stalkate hanno messo fine alla relazione, o hanno cercato di farlo, ma da quel momento l’ex si trasforma in un persecutore rendendo loro la vita impossibile. Prima magari lui non aveva manifestato comportamenti di questo tipo e nemmeno agito violenza fisica. Dopo, tutto cambia per l’intensità, la frequenza e la durata del comportamento molesto dell’ex che porta stati di ansia, malessere psicologico e fisico nella vittima. E paura per la propria vita. Simone ha raccontato della situazione di impotenza prima della legge, quando non c’erano gli strumenti per intervenire: “Spesso le donne erano costrette a cambiare vita, lavoro, casa ma ora è possibile l’arresto in flagranza di reato e il provvedimento restrittivo”. Dall’approvazione della legge al novembre 2010 ci sono state 191 querele per stalking e 43 arresti in flagranza di reato nella provincia di Milano. Inoltre, rivolgendosi direttamente alla prefettura, senza passare per la polizia e anche se non sussistono tutti i requisiti previsti per la denuncia, le donne possono chiedere un provvedimento di ammonimento al Questore. Quello di Milano ne ha emessi 104 dal 2009: molti molestatori hanno cambiato subito atteggiamento grazie solo a questo provvedimento. La raccomandazione della vicequestore alle vittime è stata molto chiara: “È vietato cedere al ricatto larvato dello stalker dell’ultimo incontro chiarificatore, potrebbe essere l’ultimo per davvero, quello fatale”. Anche Luigi Colombo, psicologo del Cipm (Centro italiano per la promozione della mediazione) che collabora con il Comune di Milano, responsabile di un servizio al sostegno delle vittime di reato, ha evidenziato che negli atti persecutori vi è un bisogno compulsivo di rientrare in contatto con la vittima e quando nell’incontro si smonta la speranza nel persecutore, poiché la donna conferma la sua volontà di non ricominciare la relazione, allora è possibile che avvenga il passaggio impulsivo all’atto violento, all’omicidio. Succede anche che queste persone, ha raccontato, si rivolgano al centro di mediazione chiedendo un incontro con la ex ma non con lo scopo di riconciliarsi, come dichiarano, in realtà solo per avere un’occasione di rientrare in contatto con lei. La spiegazione del meccanismo che si innesca in questi casi è che il molestatore con l’azione lesiva sulla vittima, cioè con l’imporle una relazione a distanza, contrasta vissuti di umiliazione, depressione, inadeguatezza e angoscia che poi possono scatenare stati emozionali intensissimi d collera. La donna arriva a sentirsi costantemente osservata e controllata perché lo stalker, oltre ad appostarsi, la perseguita con sms, mail, lettere e usa mezzi come annunciare il suicidio, facendo leva sui sensi di colpa della vittima, per non perdere il contatto con lei. Ma è una menzogna e addirittura ogni comportamento o comunicazione della donna viene interpretato dallo stalker in maniera stravolta, situazioni insignificanti acquistano importanza nella sua mente. Sulla scrivania di Pietro Forno, procuratore aggiunto della procura di Milano, dei 4.058 procedimenti che riguardano le ‘fasce deboli’ ovvero reati su donne e bambini, 800 sono stati i casi di stalking dell’ultimo anno. Secondo la sua esperienza di violenza nella sfera familiare, nel 10% dei casi vi è rischio di omicidio e “le misure cautelari lasciano il tempo che trovano le persone non cambiano e il pericolo di recidiva e omicidio non va sottovalutato. Aggressori e abusanti vanno seguiti, dovrebbe essere possibile indurre queste persone a sottoporsi a interventi veloci di cura anche se questo non può prescindere dalla volontà della persona”. Il convegno è stato preceduto dalla proiezione del documentario Sin by Silence, diretto da Olivia Klaus, fatto dall’ associazione Cwaa (Donne incriminate contro l’ abuso), di donne statunitensi vittime di violenza domestica che hanno ucciso il loro marito o compagno e sono in prigione. Loro sono sopravvissute all’ultimo incontro, perché si sono legittimamente difese, ma scontano pene maggiori degli uomini che hanno ucciso le loro vittime perché le violenze subite non sono state considerate attenuanti per la riduzione della pena

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INDIGNATE!

la Redazione. (xxd 11, ottobre 2011)
Care lettrici e cari lettori, con questo numero di ottobre festeggiamo un lungo anno di vita sul web di XXD, un’impresa collettiva che ci ha dato grandi soddisfazioni anche in termini di diffusione, con millecinquecento accessi al giorno – lo riteniamo al di sotto delle nostre possibilità, ma non avendo molti fondi per la pubbli cità (a parte i volantini nelle manifestazioni) dovremo probabilmente rassegnarci a una diffusione lenta. Per questo anche la “scommessa” del passaggio al cartaceo non la faremo in tempi brevi – e forse chi legge farà prima a passare all’uso del lettore elettronico da portarsi in giro…. Vi invitiamo a festeggiare con noi questo intenso ed entusiasmante anno di attività con una serata danzante “guidata” da Donasonica al Feminist blog camp di Torino, il prossimo 28-30 ottobre – e vi invitiamo anche a partecipare ai molti seminari e incontri proposti dalle feministe del web e anche da noi (il programma lo trovate sul sito http://feministblogcamp.noblogs.org/). Dalla festa alla lotta: un altro appuntamento da non mancare sono le mobilitazioni che gli indignados hanno convocato nelle piazze di tutta Europa il 15 ottobre. L’autorganizzazione in un nuovo soggetto politico è necessaria nel momento in cui i partiti rappresentati nei parlamenti ricordano la situazione ottocentesca: la destra e la sinistra c’erano anche allora, ma erano la destra e la sinistra di un unico partito liberale. Le italiane e gli italiani si sono appena espressi con decisione sul divieto di privatizzare l’acqua e gli altri beni amministrati dalle municipali, che il parlamento già studia come aggirare la volontà popolare. La piattaforma del 15 ottobre è nientemeno che la riconquista dei diritti delle classi spossessate: un salario minimo garantito (che forse è più giusto chiamare reddito di cittadinanza dal momento che è slegato dalla partecipazione al mercato del lavoro), l’accesso a diritti sociali e beni comuni, che sono la sanità, l’istruzione (anche se moltissimo c’è da cambiare nei contenuti e nei modi della trasmissione del sapere…), la casa, l’ambiente naturale, la ottobre 2011 5 conoscenza – questa è stata la carta di intenti e rivendicazioni approvata allo Hub Meeting di Barcellona, mentre le mobilitazioni contro le sedi delle Borse lanciate dagli indignados si stanno diffondendo nel mondo, per protesta contro l’accentramento della ricchezza nella sfera finanziaria. Le donne hanno bisogno dell’indipendenza economica, che un reddito di cittadinanza può fornire, anche per poter uscire da situazioni di violenza (famiglia di origine o partner): in questo numero affrontiamo nuovamente questo argomento a partire da un convegno sullo stalking tenutosi a settembre a Milano, e all’analisi del “raptus” ne La cruna dell’ago. Parleremo anche di sport, da una parte ambito di forti disuguaglianze tra i sessi, e dall’altra arena in cui si dispiegano liberamente le storture del modello dominante di maschilità: doping, tifo, in generale impiego di energie e di violenza per costruire un’appartenenza solo maschile. Sembra che qui si esprima al suo “meglio” il modello di genere maschile, in tutta la sua violenza e deformazione della natura: il corpo modificato in vista del record, dell’efficienza, corrispettivo delle deformazioni di “bellezza” dei corpi femminili: “Come essere una donna” ben realizzata tra chirurgia plastica e Botox, è un altro dei molti temi di questo undicesimo numero

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COLPEVOLE D’ESSERE DONNA

Di Marta Gallina. (xxd 11, ottobre 2011)
LE PAROLE E I PENSIERI DELLE NUOVE GENERAZIONI SULLA VIOLENZA SESSUALE: PATOLOGIA O (ECCESSO DI) NORMALITÀ?
Nella nostra società se una persona subisce una violenza di tipo sessuale non solo deve affrontare quell’indescrivibile sentimento di vuoto e di fragilità, non solo deve cercare di ristabilire un rapporto sano con il mondo esterno, non solo deve ricostruire i cancelli violati della propria essenza, ma deve anche – e soprattutto – difendersi dal senso di colpa. Da vittima a carnefice di se stessa, seguendo un meccanismo di inversione psicologica per cui da soggetto leso giunge a percepirsi come “causa del proprio male”.
Tale processo, occorre aggiungere, rimane molto spesso legato a società dalla cultura fortemente patriarcale. Diventa allora giusto chiedersi quanto le nuove generazioni siano ancora ferme allo stereotipo della donna tentatrice e peccaminosa.
Purtroppo, ciò non è assolutamente semplice da capire. Intervistando alcuni studenti in una fascia di età compresa tra i 20 e i 25 anni, le risposte cambiano notevolmente da soggetto a soggetto.
Ad esempio, di fronte al ripetersi della domanda Quanto ti fa indignare la seguente frase: “quella se l’è andata a cercare, guarda come si concia!”, si presentano reazioni molto differenti. Alcune dal tono piuttosto perplesso: “Non credo che alle donne possa essere imputato nulla: il modo di vestirsi è una strategia per attirare attenzione ma in un senso completamente diverso”; altre più vaghe: “Ciò che può essere provocante per me può non esserlo per un altro, ma non per questo uno si deve prendere la libertà di violare il corpo altrui”. Non mancano inoltre le risposte più ferme, più crude, più spaventose di chi crede ancora sul serio che, per quanto in piccola parte, sia anche colpa della donna: “Beh, se ti vesti in un certo modo tutti pensano a quella cosa, per fortuna non tutti la fanno”.
Perfino rispetto alla questione Da cosa nasce la violenza sessuale? le opinioni sono discordanti. Chi pensa che ciò derivi da una disfunzione della pulsione sessuale, chi dall’emergere incontrollato dell’inconscio, chi da traumi subiti. Una ragazza, in particolare, sembra sollevare un tema molto attuale e accattivante: “Ormai la violenza è diventata un passatempo. Come si può sostenere che gli stupri di gruppo siano frutto solo di menti malate? La questione è molto più complessa e sotto questo punto di vista le cause sono prettamente sociali. La noia, lo sballo, la ricerca di affermazione del sè… Insomma, chi stupra non è malato, è semplicemente legittimato a farlo”.
Un altro ragazzo si inserisce nel discorso: “La legittimazione sociale risulta più che evidente. A parte il tema degli stupri di gruppo, secondo me la violenza sessuale è funzionale alla nostra società come consacrazione del potere maschile. Far sentire la vittima colpevole rientra nella strategia di asservimento”.
Quindi, la violenza sessuale è patologica, non fisiologica? Su questo punto tutti concordano; che sia considerata fattore psicologico o sociale, chi la compie devia e merita d’essere punito. Anche se, su quest’ultimo punto, le ragazze sono quelle che si indignano di più: “Innanzittutto, le pene previste in Italia sono assolutamente inadeguate. Poi per una donna entrano in gioco troppi fattori: la paura d’essere colpevolizzata, la paura di non essere ascoltata, la paura delle ripercussioni di una denuncia. Troppo spesso chi ha bisogno viene lasciato solo. Ovviamente sono anche consapevole di quanti passi in avanti sono stati fatti negli ultimi tempi, ma non è abbastanza… Bisognerebbe cambiare la testa a certa gente”.
La voglia di cambiamento è forse l’argomento più toccato dai giovani intervistati. Certo, è ancora difficile capire in che misura e quanto profondamente, ma di sicuro accanto a una mentalità che continua a colpevolizzare la donna, se ne sta facendo largo una che cerca consapevolezza e riscatto. Come sostiene un ragazzo: “Vuoi sapere perchè le donne non si ribellano? È colpa dell’abitudine! E purtroppo spesso l’abitudine diventa normalità…”.

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VOLEVO SOLO ANDARE IN BICICLETTA

di Michela Dell’Amico. (xxd 11, ottobre 2011)
FAEZEH HASHEMI RAFSANJANI È L’IRANIANA FIGLIA DELL’AYATOLLAH CHE HA FONDATO LA FEDERAZIONE DEI PAESI ISLAMICI PER LA SOLIDARIETÀ FEMMINILE NELLO SPORT CHE ORGANIZZA LE OLIMPIADI PER SOLE DONNE.
“Dopo la rivoluzione in Iran, molte attività sembravano antislamiche”, racconta Faezeh Hashemi Rafsanjani ad Anna Vanzan, nel libro Le donne di Allah, “Ma mi sono resa conto che lo sport avrebbe significato dare consapevolezza alle donne, fiducia nelle loro capacità, le avrebbe fatte progredire”.
Faezeh è la figlia di Akbar Hashemi Rafsanjani, attuale presidente del Consiglio per il Discernimento dell’Iran, a capo del paese islamico dal 1989 al 1997. Quando Faezeh ha 16 anni, il padre è l’ayatollah che ha sostenuto la rivoluzione islamica. Faezeh contesta quel regime ed entra in politica giovanissima con un chiodo fisso: permettere alla iraniane di andare in bicicletta, pratica considerata più che sconveniente.
Nel 1991 fonda la Federazione dei Paesi Islamici per la solidarietà femminile nello sport, col sostegno di alcuni Paesi musulmani, e riesce a organizzare Olimpiadi per sole donne. Rafsanjani fonda anche il primo quotidiano femminile del dopo rivoluzione, “Zan”, che però chiuderà dopo un anno e mezzo. “Volevamo promuovere i diritti delle donne, dare loro consapevolezza, indurle ad avere fiducia in sé ed entrare in politica”.
Adesso Faezeh è a capo di una Ong “Casa Bianca Mehr”, che si occupa di diritti umani, ha radunato tutte la associazioni iraniane che si occupano di diritti delle donne continuando a lavorare per il loro ingresso nello sport e in particolare per favorire la presenza di donne nei quadri dirigenziali delle strutture sportive. “In Iran – dice, e ci sembra ingenua – le donne occupano posizioni di scarso rilievo nella scala gerarchica della dirigenza sportiva”.
Alla nascita del movimento d’opposizione Onda Verde, che ha visto esplodere il coraggio di molti giovani in cortei che sono costati la vita a molti di loro, Faezeh è stata ripresa mentre sfilava sventolando fazzoletti verdi, e su youtube si vedono molti video che la ritraggono, compresa un’aggressione verbale da parte di studenti islamici (http://www.youtube.com/watch?v=HmhsOmGshf0″ http://www.youtube.com/watch?v=HmhsOmGshf0).

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