di Michela Dell’Amico. (xxd 11, ottobre 2011)
INTERVISTA A CAROLINA MORACE SU SPORT, PROFESSIONISMO, DIFFERENZA DI GENERE. L’ALLENATRICE DELLA NAZIONALE CANADESE FEMMINILE INCONTRA XXD.
Carolina Morace allena la nazionale di calcio canadese. In Italia ha avuto una carriera folgorante, che l’ha portata a innumerevoli successi, anche come opinionista televisiva, ma soprattutto, prima donna al mondo, ha allenato una squadra di calcio maschile.
Si è mai sentita un’eroina, qualcuno che in qualche modo sta cambiando la società?
Sinceramente non mi sembra che la società stia cambiando e, malgrado i risultati raggiunti nella mia carriera, continuo a non avere le stesse opportunità lavorative dei colleghi allenatori uomini, sia per quando riguarda la professione di allenatore, sia per quanto riguarda una possibile collaborazione con società di calcio maschile professionistiche in altri ruoli, sia per quanto riguarda il lavoro di opinionista televisiva.
Perché può esistere una discriminazione così lampante, che non consente alle donne di iscriversi nella categoria professionisti?
Credo che molto dipenda dai vertici dello sport, molto dagli stereotipi della donna che ci vengono proposti dalla televisione e, sicuramente, le ultime vicende politiche (escort e bunga bunga) stanno peggiorando la situazione e la considerazione della donna in quanto tale.
Giusto recentemente il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentis, ha chiesto spiegazione alla Figc sull’assenza del professionismo nel calcio femminile. Le considerazione di De Laurentis nascono dal successo avuto dal Mondiale femminile in Germania. La Federazione tedesca crede, da diversi anni, nel calcio femminile, investe e progetta e, questo ultimo Mondiale è stato un incredibile successo proprio per questo motivo.
Cosa comporta l’entrata nel professionismo?
Il professionismo comporta che gli atleti sono impegnati interamente nella disciplina che praticano e, quindi, possono dare il massimo sotto l’aspetto fisico, tecnico e tattico. Oltre a questo anche le persone coinvolte come tecnici, medici, fisioterapisti, manager, arbitri, giornalisti contribuiscono al miglioramento della qualità del gioco.
Lei è stata la prima donna ad allenare una squadra di calcio maschile? Ha trovato resistenze “di genere”, magari da parte dei giocatori? Se avesse avuto la stessa possibilità all’estero, forse sarebbe stato diverso?
È stata sicuramente un’esperienza positiva che rifarei ma, forse, nel mondo del calcio, malgrado i risultati raggiunti dalla squadra (passaggio del turno di Coppa Italia a spese di quelle squadre che poi vinsero il passaggio in serie B) è stata vista più come una trovata pubblicitaria del Presidente Gaucci. La soddisfazione è stata la stima dei giocatori. Non so se all’estero sarebbe stato diverso, non ci sono altri casi al mondo.
Il calcio femminile può appassionare come quello maschile, oppure crede – come è opinione diffusa – che la diversa potenza muscolare (o quant’altro) renda i match femminili meno esaltanti e meno spettacolari?
Tutti gli sport femminili esprimono una diversa forza muscolare. Apprezziamo Messi (Lionel Andrés Messi , capitano della nazionale Argentina) per la sua tecnica e non certo per la sua potenza fisica! Il calcio femminile ha margini di miglioramento tecnico, tattico e fisico enormi.
Quanto incide la cultura di genere nella scelta di uno sport?
Negli Stati Uniti – dopo i Mondiali Usa del 1999 e del 2003 – c’è stata un’esplosione del calcio femminile. Le giocatrici americane partecipano a programmi come Ballando sotto le stelle, sono diventate delle vere e proprie eroine dello sport, sono diventate “modelle e idoli” delle nuove generazioni.