Di La redazione. (xxd 15, aprile 2012)
“Spero che la conoscenza di questa società possa avere su di voi lo stesso effetto che ha avuto su di me”, ha detto Francesca Rosati Freeman, “praticamente questa società mi ha cambiato la vita e posso dire che la posso dividere in due: prima dei moso e dopo i moso”. Quando nel 2004 è venuta a sapere dell’esistenza di questa società non avrebbe mai immaginato di trovarsi al convegno accanto a Najin Lacong e Ake Dama, incontrata per la prima volta nel 2005, la prima a spiegarle con molta naturalezza e fierezza, ma anche con precisione e dovizia di dettagli, come fosse organizzata la sua società.
Ake fino a un anno fa gestiva una piccola guest house a conduzione famigliare, ha due bambini, un maschio di 10 anni e una bambina di 6 anni, e fa la spola tra il suo villaggio natale e Li Jiang che si trova a 3-4 ore di distanza perché ha preso la decisione di fare cominciare la scuola elementare alla bambina a Li Jiang, dove l’istruzione è migliore che nel suo villaggio. Per finanziare gli studi dei suoi bambini, Ake ha dato in gestione la sua guest house e ha aperto un ristorante moso a Li Jiang. Il suo desiderio più grande è che i figli con gli studi acquisiscano le capacità per diffondere la cultura moso nel mondo, oggi minacciata dalla società occidentale e patriarcale, soprattutto dai programmi televisivi e dall’uso del computer
Najin ha una famiglia molto numerosa e anche lei ha lasciato il suo paese natale per trasferirsi e lavorare a Li Jiang da una sua zia responsabile di un azienda che produce il “sulima”, vino liquoroso ricavato dalla fermentazione del grano e di altri cereali ed erbe, che i moso chiamano il liquore delle donne. È stato creato apposta per le donne perché sembra sia di grande aiuto durante il parto. A Li Jiang esiste una comunità numerosa, le donne si incontrano una volta a settimana e poi una volta al mese ci sono riunioni dove le donne discutono insieme. Il loro passatempo preferito è cantare e ballare, e il loro concetto di felicità è stare bene in salute e avere da mangiare per tutta la famiglia. “Durante i miei soggiorni nel territorio moso ho avuto modo di approfondire i vari aspetti della loro società”, testimonia Freema, “accorgendomi subito che regna una grande armonia”.
Abitano ai confini del Tibet, in una regione molto montagnosa sui contrafforti dell’Himalaya a quasi tremila metri di altitudine. Della famiglia fanno parte tutti i discendenti in linea materna e a capo di essa vi è la Dabù, la donna più abile, saggia e in genere più anziana, che trasmette il nome, i beni e gestisce l’economia familiare. La famiglia moso ha una struttura molto solida, si può dire perenne, e non si disgrega mai. Ciascuno ha un proprio ruolo, adempiendo al quale si sente responsabilizzato e al tempo stesso protetto. I due ruoli, maschile e femminile, non sono mai gerarchici ma complementari, l’indivisibilità dei beni all’interno della famiglia fa si che nessuno possa arricchirsi a discapito di un altro. Le decisioni vengono prese solo quando tutti i membri adulti della famiglia dopo innumerevoli discussioni, hanno trovato un accordo, e le posizioni prese dalla Dabù hanno un grande significato. La condivisione dei beni, unita alla complementarietà dei ruoli e allo sforzo di raggiungere un consenso decisionale ampiamente condiviso, fanno della comunità moso una società con un senso del rispetto e dell’uguaglianza assai profondo. La stanza principale dove si svolgono le attività dei familiari è sempre chiusa, attraverso questa porta si accede alla camera dei misteri, dove le donne danno alla luce i loro bambini e dove vengono sistemati i corpi dei defunti prima del funerale. Una stanza dove vita e morte si alternano in un ciclo continuo.
Ciò che fa della cultura moso una cultura che salvaguarda la pace in famiglia è l’esclusione del matrimonio e della convivenza dallo stile di vita tradizionale. Anzi questi sono ritenuti un attacco alla famiglia stessa. I moso non rinunciano all’amore, al sesso, alla procreazione. Al compimento del tredicesimo anno di età una grande cerimonia segna il passaggio dall’infanzia alla vita adulta. Sia le ragazze che i ragazzi ricevono il costume tradizionale che indosseranno per feste e cerimonie e danze serali. Ma la ragazza in più riceve anche la chiave della sua camera, chiamata “la camera dei fiori”, dove quando lo deciderà ospiterà la persona che ama. Da questo momento inizia una nuova vita con un nuovo statuto sociale. el’acquisizione del diritto di partecipare a tutte le attività familiari, sociali e amorose.
La coppia è considerata troppo instabile per far coincidere amore, famiglia e coabitazione: se la relazione amorosa dovesse finire non si corre il rischio di perdere l’amore e la famiglia. La separazione della vita familiare da quella amorosa consente la salvaguardia della famiglia e garantisce a uomini e donne grande libertà sessuale. Permette alle donne di avere il controllo del proprio corpo e della sessualità, e poiché le coppie non vivono sotto lo stesso tetto, ma si incontrano nella camera di lei, non si litiga mai per la precarietà economica, per dinamiche familiari o per incompatibilità di carattere, né si litiga con i parenti del proprio partner.
Non si litiga nemmeno per l’educazione dei figli, perché appartengono alla madre e alla famiglia materna e sono considerati la reincarnazione degli antenati.
Anche se il padre biologico ha un ruolo marginale, i bimbi non sono privati di una figura maschile con funzioni e responsabilità paterne, incarnate dallo zio materno. Senza matrimonio e senza convivenza non ci può essere violenza coniugale, tipica delle famiglie mononucleari patriarcali, e in caso di separazione non c’è cambiamento di carattere materiale per adulti e bambini. La madre non rimarrà da sola a occuparsene e i bambini non sentiranno nessuna mancanza del padre.
“La libertà sessuale”, racconta Freeman, “qui garantisce equilibrio e armonia per tutti i membri della famiglia, è una istituzione, ma l’omosessualità non esiste. Un ragazzo che è andato all’università mi ha detto che prima di allora non ne aveva mai sentito parlare. E anche altre ong me lo hanno confermato. Quando siamo state al parco Valentino le due ragazze moso hanno visto due donne baciarsi e mi hanno chiesto: ‘Ma cosa stanno facendo?’ Se poi si fa in modo discreto io non lo so ma loro dicono che non esiste. In ambito amoroso non esiste il concetto della proprietà privata. Amore e sesso non significano possesso, e quindi i moso considerano la gelosia come un concetto molto negativo, dissociato dall’amore, la condannano e la stigmatizzano. È la violenza che fa perdere la faccia. Se il proprio partner ha incontri clandestini con un’altra donna non è certo la fine del mondo. Esistono casi sporadici di violenza sulla partner, che non viene occultata ma resa pubblica e gestita da una persona considerata pubblicamente saggia”.
Anche la struttura politica, così come quella familiare, è basata sul consenso popolare. C’è una commissione amministrativa composta da uomini e donne che fanno da intermediari tra gli abitanti e il capo o la capa del villaggio, ma quando si presenta un problema sociale sono le Dabù, le rappresentanti delle famiglie, che dopo essersi confrontate con i membri adulti della propri famiglia, ne discutono tra di loro e poi ne parlano con il capo villaggio che ha il compito di coordinare la commissione amministrativa. Le donne non sono escluse da questo incarico amministrativo. Ake stessa è stata nominata capo del villaggio nel 2002 ma ha rifiutato l’incarico per non aggiungere ulteriori responsabilità a quella non meno importante della sua famiglia. Malgrado il turismo abbia iniziato a essere la risorsa economica principale in due villaggi, alcune attività come il trasporto dei passeggeri in barca e le danze serali sono ancora basati sulla solidarietà collettiva. Dopo aver dato a tutti le stesse opportunità di lavoro i proventi vengono divisi equamente fra tutte le famiglie del villaggio. Le famiglie moso si attengono a un comportamento corretto per evitare l’arricchimento di alcune famiglie a discapito delle altre. Le attività legate al turismo non sono ancora riuscite a soppiantare l’agricoltura e l’allevamento di maiali e capre, che insieme a tessitura e fabbricazioni tradizionali restano le attività più diffuse. L’aspetto spirituale è quello che più di ogni altro contribuisce a creare e mantenere l’armonia fra tutti. La religione è il buddismo tibetano, ma i moso non hanno mai rinunciato al loro sciamanesimo primitivo tanto che spesso Lama e Daba, i loro preti sciamani, si ritrovano insieme a officiare le stesse cerimonie religiose. Credere negli spiriti della natura e nella divinità delle montagne, considerare la natura sacra, e rispettarla fa si che i moso la preservino dalle distruzioni. La venerazione per la natura si riflette in ogni piccolo gesto quotidiano, percorrono i villaggi girando i loro mulini di preghiera per ingraziarsi gli spiriti della natura, poi girano più volte al giorno attorno allo stupa, un monumento funerario, e fanno offerte sugli altari funerari di casa dei prima di pranzo e cena. La venerazione della natura trova il suo culmine nel pellegrinaggio alla grande dea creatrice e protettrice di tutti i moso, Gamu: la montagna sacra. La natura è sacra e la divinità è donna. Anche il lago in lingua moso significa lago madre, così si afferma il principio del femminino sacro alla dea, e si riconosce alla donna la funzione della continuità della vita. Da ciò deriva grande rispetto per le donne, per i bambini e gli anziani, e la nascita della figlia femmina è un grande dono e non una disgrazia. Le donne non opprimono l’altro sesso ma condividono con gli uomini incarichi di responsabilità.
Conclude Freeman: “Si tratta di un altro modo di concepire vita e famiglia che potrebbe aiutarci. Il rispetto per la persona e la natura, l’economia del dono e la cura della vita vengono trasmessi come base dell’educazione dei moso. La società dei moso è una società di pace, definita nel 1995, nel 50enario anniversario dell’Onu, una società modello. Ispirarsi ai valori matriarcali sarebbe opportuno per noi che abbiamo bisogno di cambiamento, di nuovi modelli, e per noi donne è venuto il momento di riappropriarci di ciò che il patriarcato ci ha tolto”.
Box: Domande ad Ake Dama e Najin Lacong
Le domande sono state poste dalle partecipanti al convegno, con la traduzione in cinese dell’interprete Federica Carnana
Il nuovo modello economico può esistere insieme a quello tradizionale?
È una domanda molto complessa. C’è molto turismo e c’è anche la televisione, il pc. Questo da un lato è un beneficio, perché molte donne ora desiderano che i loro figli ricevano una istruzione che noi non abbiamo avuto. Poterci confrontare con realtà al di fuori della nostra è un beneficio per conoscere e comprendere la realtà esterna, che porta a far apprezzare maggiormente il nostro sistema culturale.
È inevitabile che tutto ciò porterà a dei cambiamenti. L’idea ci spaventa, ma la speranza è che non ci siano sconvolgimenti immediati. Inoltre il turismo implica che la nostra società venga meglio compresa.
Alla domanda sulle diversità avete risposto che l’incontro con le diversità è utile per apprezzare di più ciò che si ha. Questa è una visione della diversità in negativo. Mi ha colpito molto, vedere il diverso come ciò che in realtà non fa che confermare il proprio modello. Insieme al fatto che non nasce nessuna persona che abbia un orientamento diverso da quello eterosessuale.
Non ne faccio una questione di “la nostra società è migliore di quella degli altri”, il discorso è che abbiamo difficoltà a comprendere un modo di vivere diverso dal nostro. Inoltre la televisione sta facendo vedere in modo assolutamente immediato delle cose che sono a volte scioccanti, soprattutto ai bambini, che non essendo ancora andati a scuola, non comprendono neanche la lingua cinese. E allora c’è bisogno dei genitori per fare da filtro. Da ogni società si può prendere qualcosa di buono. I giornalisti ci hanno chiesto se si può esportare il nostro modello di vita, e abbiamo risposto che non ha molto senso, Speriamo solo che gli altri vengano da noi e che adottino quello che credono ci sia di buono, ma senza nessunissima imposizione.
Non pensiate però che da noi nessuno litighi, ci possono essere dei piccoli conflitti in famiglia, tra madre e figlia, però si cerca di parlare e in due tre giorni la cosa si risolve.
Il turismo ha portato buone cose, come le infrastrutture; come l’autostrada che è più comoda e meno pericolosa da percorrere, soprattutto per avere cure mediche, in particolare per gli anziani. Mi spaventa che il sistema scolastico non sia in lingua moso ma in lingua cinese, perché temo che questo ci faccia perdere l’identità linguistica più che quella culturale.
A me lascia stupita che le donno moso non costruiscano qualcosa con il proprio compagno.
È un’ottica diversa quella con cui cresciamo, noi cresciamo con l’idea che la mamma e il sentimento materno sia quello più importante, quello del compagno viene al secondo posto. Un uomo passa, la mamma rimane.
Dite che le persone anziane sono facilitate ora nell’avere cure mediche, ma non c’è qualcuno nel villaggio che si occupa della medicina tradizionale?
Ci sono sempre stati e ci sono ancora dei guaritori che curano con le erbe, ma quando ci sono malattie particolarmente gravi, il guaritore non è sufficiente. Prima c’erano le levatrici, mentre ora le mamme spingono le figlie a partorire negli ospedali.
Io mi occupo di donne e di parto. In Italia molte donne si sono viste strappare la possibilità di partorire con il proprio potere personale. La medicalizzazione del parto è la prima arma per togliere potere alle donne. La stanza chiusa della vita e della morte la continuate a utilizzare?
Sì, questa stanza è usata. Voglio spiegarmi meglio: alcune madri spingono le figlie ad andare a partorire, ma non è per tutte così, solo quando ci sono delle difficoltà, oppure alcune madri dicono: “Il primo vai a partorirlo in ospedale, e poi gli altri a casa”. La stanza è considerata sacra, è dove vengono riposti oggetti sacri, o vanno a riposarsi gli anziani e le donne dopo il parto, è il luogo di connessione tra noi stessi e il sacro, non invitiamo un ospite all’interno di questa stanza.
Una volta le mamme che partorivano in casa non si ricordavano quando nascevano i figli, mentre ora in ospedale ti danno un bel foglio dove c’è scritto tutto.
Qual è l’aspetto che vi ha più colpito del nostro modo di vivere?
Non siamo tanti diversi. Anche in questi giorni, sentendo parlare le nostre amiche sudafricane o stando nel cerchio delle donne, ho pensato che siamo molto simili. Inoltre le domande che voi state facendo sono molto diverse da quelle che ci fanno i turisti cinesi, si capisce che sono fatte per comprendere la nostra realtà.