Di M. Daniela Basile. (xxd 16, giugno 2012)
SONO STANCHE DELLA SITUAZIONE ITALIANA, UN LIMBO PRIVO DI CHIAREZZA E COERENZA LEGISLATIVA. LO FANNO PER SCELTA E CHIEDONO DIRITTI E LEGALITÀ. A ROMA LA CONFERENZA NAZIONALE DEL 21 APRILE NE È STATA OCCASIONE
“Non ho deviazioni psicologiche, né traumi familiari alle spalle. Fare la prostituta è un lavoro che mi piace”. Sabrina ha venticinque anni, porta un trucco lieve e il corpo minuto è ricoperto da un abbigliamento che non la rende per nulla diversa da tante altre studentesse fuori sede: una minigonna di jeans e un decolté generoso ma delicato. Preferisce mantenere l’anonimato, la società che la circonda non è pronta a rapportarsi con una lavoratrice del sesso. Problema condiviso con Giulia, trentenne di origine russa, in Italia da sette anni. Giulia è una ragazza solare, timida in certe circostanze e non riesce a portare la sua testimonianza davanti alla sala di palazzo Valentini a Roma, dove il 21 aprile si è tenuta la Conferenza nazionale sulla legalizzazione della prostituzione. In Russia lavorava in un night club ed è venuta nel “Bel Paese” per continuare la sua attività. “Da bambina sognavo di fare la cantante. Lavoravo in un negozio come commessa. Non riuscivo a comprare praticamente nulla. Un giorno un’amica mi disse che a lei regalavano tutto gli uomini, così ho iniziato anch’io. Lo faccio per soldi e qualche volta mi diverte. Non ho mai dovuto superare barriere morali e non sento pesi psichici o fisici. Non mi vergogno, non faccio male a nessuno. Ma devo mentire dicendo che lavoro in pizzeria”.
Sabrina e Giulia sono concrete e non interessa loro, almeno non adesso, fare discorsi filosofici sul sesso, sul loro rapporto con il corpo e sulla relazione uomo-donna. “La prostituzione è una realtà vera e quotidiana”. Sabrina e Giulia si sono unite alla battaglia di Pia Covre, fondatrice nel 1982 del Comitato per i diritti civili delle prostitute che insieme all’associazione Radicale Certi diritti e alla Cgil Nuovi diritti ha organizzato la giornata di riflessione del 21 aprile. Hanno in mano un disegno di legge che chiede: l’abrogazione della legge Merlin, la sistemazione dei contratti di servizi sessuali al di fuori dei reati legati al costume, la disciplina con decreto ministeriale dei controlli igienico-sanitari e della sicurezza, e infine, il regolamento degli aspetti tributari nelle forme previste dal ministero dell’Economia e delle Finanze. La legalizzazione permetterebbe così, com’è accaduto in altri paesi, che le lavoratrici del sesso emergano senza doversi nascondere. “I miei annunci su internet vengono bannati perché sospettati di essere mercato sessuale. È una forma di discriminazione” spiega Sabrina. “In questo periodo a Genova la situazione è insostenibile, soprattutto nel quartiere della Maddalena. La polizia fa controlli in continuazione multando i clienti e facendoci passare nottate in questura. Sia noi che i clienti abbiamo paura. Inoltre c’è la crisi e questo fa aumentare gli episodi di violenza. Vogliamo lavorare in pace e avere contratti di affitto regolari”, dichiara una rappresentante delle Graziose, associazione che riunisce numerose prostitute del centro storico genovese.
“La prostituzione è come una tovaglia che tirandola da una parte ti scappa dall’altra” spiega Porpora Marcasciano, nota attivista del movimento gay-lesbico-trans e vicepresidente del Movimento identità transessuale. “Non esiste una ricetta valida sempre e in ogni luogo. La regolamentazione non può partire dallo sfruttamento, inizierebbe con il piede sbagliato. Bisogna condividere il presupposto che si parla di vendita di prestazioni sessuali. Il discorso sul lavoro legato al sesso è semplice. Non va intrecciato all’immigrazione e alla criminalità, realtà più complesse. Lo sfruttamento e la tratta c’entrano poco o nulla”. E Porpora questo lo sa bene, per ragioni autobiografiche conosce altri tipi di scelte obbligate come quelle che vivono le transessuali. Tra di loro ci sono donne che non trovano altri ruoli e posti di lavoro nella società se non quelli legati al mercato del sesso. Antonia Monopoli, di origine pugliese, ne porta testimonianza. Ha lasciato la strada grazie ad Ala onlus Milano di cui adesso è responsabile dello sportello trans. “Ho iniziato a prostituirmi nel 1994. Per una transessuale era l’unica possibilità. Non mi piaceva e nel 2005 ne sono uscita. Ricordo che nel 2002 sono andata in questura venti volte circa. E le campagne politiche erano i periodi di maggior controllo. Appena ho trovato un’alternativa ne sono uscita. Non discrimino però chi lo fa per scelta”. E tra chi lo ha fatto per scelta c’è anche Tenera Valse, oggi trentottenne. Artista e figlia modello, insegnante di latino e greco, Tenera ha mollato tutto per diventare una sex worker che offre servizi bdsm, pratiche legate alla dominazione e sottomissione come il bondage e il sadomasochismo. “Sono ancora una donna modello, seppur di diversa natura. Adesso posso comprarmi tutti i libri che voglio e posso scrivere. Il lavoro dell’insegnante è costantemente frustrato”. La sua nuova vita segue la riflessione su una società che non sa valorizzare ruoli, lavori e competenze. La libertà sessuale e la letteratura sono le sue passioni. Ha pubblicato Portami tante rose, breve romanzo autobiografico. Il numero di rose rappresenta nel web gli euro a prestazione sessuale. “Il bdsm propone momenti performativi che aiutano a canalizzare l’energia e che sarebbero assai utili alle coppie”. Tenera, personaggio poliedrico di grande intelligenza, è costosa; le sue arti non sono all’ordine del giorno. “Ho più clienti uomini, ai quali è sempre stato permesso di lasciare liberi gli istinti. Sono degli animali, nel senso puro del termine. Storicamente le donne sono state addomesticate, sono meno disposte a prendersi spazio e cura di sé”.
Il tema della violenza ritorna costantemente durante l’incontro, come paura o esperienza. “È aumentata a tal punto nei confronti delle transessuali che l’Unione europea ha richiamato l’Italia esortandoci a trovare soluzioni” denuncia Porpora Marcasciano. “La situazione italiana, questo limbo privo di chiarezza e coerenza legislativa, porta le sex workers ad essere esposte ad una doppia violenza. Quella di sfruttatori o clienti e quella delle forze dell’ordine. Non è raro che vengano fermate, abusate e violentate.” Sottolinea Matteo Mecacci deputato Radicale e presidente della Commissione per i diritti umani dell’Osce