in anticipazione del nuovo numero di aprile-maggio, ancora in preparazione, ecco la rubrica Mutazioni sceniche
di Anna Maria Civico
Lotte van den Berg (Groningen 1975) appartiene ad una generazione di artisti definiti come ” nuovi minimalisti olandesi”. Nel suo lavoro la fusione di cinema e teatro ha l’effetto di innovare la scena riposizionando lo spettatore. Nello spettacolo Braakland (con la compagnia Dakar) che si svolge all’aperto, la distanza tra gli spettatori e gli attori è accentuata, 10/15 metri, come in un campo lungo possibile solo alla ripresa cinematografica. Gli spettatori si trovano nello spazio scenico davanti ad una radura ed il bosco, seduti, in attesa ed in silenzio, in una fila frontale alla “scena” in modo da non avere nessuno davanti o dietro ed a rimarcare che la visione dello spettacolo è individuale, è un fatto personale e solitario. Gli attori compaiono avanzando sempre uno alla volta e lentamente verso i loro obiettivi. I personaggi sono uomini e donne che vagano in una terra di nessuno. Si abbandonano alla legge della giungla, ci sono aggressori ma gli aggrediti sono incapaci di difendersi o forse non hanno la motivazione, subiscono senza opporre resistenza. Nella scena non si ricorre mai alla parola e questo accentua la desolazione. Lotte van den Berg ci dice che gli individui non vogliono più difendersi ne ribellarsi, nonostante le aggressioni ripetute nel silenzio di una scena che diventa paradossale sia per lo sfondo di natura incontaminata sia perché non ci sono mai tentativi di difesa. E’ così fino alla fine dello spettacolo in cui l’ultima persona sopravvissuta, una donna, sotterra tutti in una fossa comune dove si immerge anche lei viva. Lo spazio svuotato di forme umane ritorna ad essere una radura ed un bosco, atrocità senza causa ed effetto si sono consumate senza lasciare traccia. Braakland è del 2006 ancora oggi viene replicato in Europa. Lotte indaga la psicologia dell’aggressione e della violenza attraverso la potenza pura del movimento che talvolta raggiunge intensità profonde, che può essere allo stesso tempo esaltante gioia o dolore e abbandono. Studia legge, scienza, filosofia prima di arrivare al teatro. Van den Berg lavora con attori professionisti e non professionisti, il suo lavoro è site-specific ma lavora anche per i teatri, e trae ispirazione da ciò che accade intorno a noi nella vita quotidiana. In Stillen ad esempio “espelle” la realtà, si attesta su una lentezza che diventa soglia d’accesso a una percezione “altra”, in cui la narrazione non procede secondo un andamento logico, ma si sposta su singoli e isolati dettagli che si riferiscono, paradossalmente, sempre ad una interezza oltre il privato. Nei suoi progetti si occupa dei vissuti cercando di costruire un ponte tra vita, lavoro e performance. Attualmente lavora al concetto di “ciò che fa di un posto la tua casa” che la porta nel 2010 a Kinshasa in Congo con una equipe di artisti multidisciplinari: scrittori, attori di teatro, registi di cinema, architetti e con la gente dei villaggi realizza performance negli spazi aperti. Quando l’equipe torna in Europa porta in Olanda la percezione di uno spazio di vita alterato che molto si allontana dalla regolata vita olandese, con questo bagaglio scioccante girano in tournee l’Europa con appuntamenti fino a tutto il 2012. Solo varcando le Alpi sarà possibile vederla!