Sex party per donne e trans a San Francisco

di Daniela Danna

 

Una volta al mese a San Francisco donne e trans vanno a un party speciale: si balla, ci si porta da bere, si mangiano le cupcakes preparati dalle organizzatrici, si chiacchiera, e se si vuole si va nelle camere da letto o nel “fungeon” per approcci BDSM. Donne e trans che vanno a feste con sesso per donne e trans – perché lo fanno? Come hanno cominciato? Ho fatto queste due semplici domande ad alcune ospiti e organizzatrici dell’appuntamento “Velvet” presso Mission Control nella primavera del 2013. Ascoltiamo semplicemente le loro risposte, voci della comunità queer “sex positive” della Bay Area.

(“Donne e trans” è un po’ riduttivo. Ecco la presentazione dal sito: VELVET is a sensuous, intimate, private party for fierce femmes, badass butches, bois, transmen, transwomen, genderqueer and intersex queers. Whether you are shy, exhibitionist, experienced or have never been to a party like this before, we want YOU!)

α

Qual è il motivo o i motivi per cui sei qui stasera?

Mi piace stare qui perché mi trovo a mio agio, e la festa è per donne e queer. È stata mia moglie, che viveva qui, a farmici venire. All’inizio mi sentivo intimidita, perché per molto tempo non mi identificavo come queer.

 

β

Mi piace poter offrire le mie competenze come persona esperta di computer. Conosco il posto molto bene, conosco la comunità molto bene. È un bello spazio sociale.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta a Velvet?

Entrare in contatto con un gruppo che, da dove io provengo, è molto ostracizzato. Vengo dal Midwest: BDSM, kink e GLBT sono molto ostracizzati, ed essere parte di una minoranza là e essere normale qua è molto, molto diverso. Qui è fantastico: ho trovato la mia gente! Ho iniziato a venire due anni fa. Abito con persone che lavorano a Mission Control: la prima volta, la mia coinquilina mi ha portato qui. Loro sono molto coinvolte in Mission Control, Bridge the Gap, e queste cose qua.

 

γ

Voglio incontrare nuove persone qui, nell’area di San Francisco. Mi sono trasferita qui di recente, tre mesi fa.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta a Velvet?

All’incirca lo stesso, questa è la mia seconda volta, in realtà. Mi diverto un sacco.

 

δ

Mi piace, mi diverto qui. Vengo spesso, dal 2011. È un posto carino, meglio di altri, a San Francisco. Qui è molto intimo e tranquillo ed è bello e accogliente, cioè il tipo di posto, l’atmosfera, la musica, l’intrattenimento.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta a Velvet?

Semplicemente per divertirmi. Volevo semplicemente uscire, era venerdì e volevo divertirmi piuttosto che stare a casa. Vengo sempre qui, spesso, mi piace il posto. Non ci sono altri posti come questo, qui, niente a Los Angeles. C’è solo un altro play party per donne a New York. Se vado a New York, voglio vedere com’è.

 

ε

Penso che la mia sia curiosità.

Mi piace pensarmi come una persona dalla mente molto aperta, una giovane donna queer abbastanza consapevole della propria sessualità, quindi penso che questo posto mi si addica proprio, perché è molto tollerante, molto aperto. Non è molto comune uno spazio così da dove vengo io e nemmeno nella mia esperienza attuale. Quindi, per me, si tratta semplicemente di allargare i miei orizzonti e mettermi alla prova in un nuovo ambiente.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta a Velvet?

È la prima volta. È proprio la prima volta che vengo in un posto di questo tipo; sono stata in un po’ di club di bondage e BDSM, ma è la mia prima volta qui.

 

ζ

Io ci lavoro. Mi sono impegnata a venire qui ogni mese, come volontaria. Vengo qui con mia moglie ogni mese, se possiamo, a meno che io non stia male. Noi siamo sistemate, compreremo una casa e avremo un bambino e tutta questa roba qua, e almeno una volta al mese usciamo, veniamo a Velvet a divertirci. Dato che mi sono impegnata a fare turni come volontaria, ci dobbiamo andare, così usciamo sempre almeno una volta al mese, per Velvet. Siamo sicurissime che accadrà, altrimenti mia moglie riempie completamente l’agenda per poi annullare tutti gli impegni e stare a casa a guardare la TV. Ed è grandioso, adoriamo stare a casa, ma non tutto il tempo. Sappiamo che almeno quest’unica cosa la facciamo.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta qui?

A Velvet o Mission Control? Perché Velvet è un party piuttosto recente. Vado a Mission Control da sei anni e faccio la volontaria perché mi piace, mi piace farlo e fornire sostegno. Ed ero davvero entusiasta all’idea di avere un party per donne e trans a Mission Control perché, la prima volta che sono venuta, non ce n’era stato uno da anni.

Mission Control ha cercato di includere i gruppi queer, e negli ultimi anni ha cercato di essere molto, molto aperto, fino ad avere davvero party per donne e trans e party per uomini gay. Quei party un paio d’anni fa non c’erano, non qui.

È una cosa nuova ed è davvero bello che ci siamo più persone queer in questo spazio, è davvero fantastico.

È un posto pansessuale, sì, ma è ancora soprattutto etero. C’era quest’unica coppia di uomini gay e io, per moltissimo tempo siamo stati gli unici queer fissi. Per la maggior parte, la gente che si identificava come queer era in una relazione eterosessuale e non voglio affatto sminuire il loro essere queer, solo che è l’ambiente è diverso… Non è solo “accettiamo queste cose”, ma “creiamo davvero uno spazio per queste cose e le generiamo”.

 

η

Il motivo per cui sono qui stanotte è la possibilità di organizzare un party dove le persone possano essere al sicuro e possano interagire con le altre e fare sesso senza doversi preoccupare del fatto di avere troppe persone conivolte nella loro “scena”. Sai, ci sono altri play party e la gente cerca di fare in modo di essere coinvolta in modo eccessivo. Qui le persone rispettano gli spazi altrui. Ecco perché mi piace essere qui e fare un bel party.

Non mi sono sentita così sicura come in questo posto, rispetto agli altri party di donne a cui sono stata nel passato (sempre non commerciali). Non hanno una serie di regole che per me ha un significato, come ci sono qui [per esempio, chiedere il permesso di toccare in qualunque modo una persona, cercare di essere presenti a se stesse, non prendere personalmente i rifiuti, non dover giustificare un rifiuto…]. Ci preoccupiamo che tutto sia consensuale, ed è quello che mi piace di questo posto.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta a Velvet?

La mia prima volta… In realtà ho iniziato a organizzare party 5 anni fa, ma all’inizio venivo qui perché avevo una relazione con un uomo e sentivo che il mio bisogno di stare con le donne non veniva soddisfatto, quindi non sapevo come iniziare un’attività sessuale con qualcuna con cui non avessi una relazione, così ho deciso di fare delle ricerche e ho trovato questo spazio che, in realtà, coincideva con quello che stavo studiando a scuola: volevo saperne di più sul poliamorismo e sulle relazioni aperte e così ho deciso di venire qui col mio partner e poi le cose sono andate avanti da sole. C’erano un sacco di eventi in questo spazio e sono stata invitata a un altro party dopo essere venuta al primo, ed è stato fantastico.

 

θ

Ho fondato io questo party, sono parte di Mission Control, l’organizzazione, da quando è cominciata, sono nel comitato direttivo. È un gruppo di nove persone. Durante una riunione si è detto: “Dobbiamo organizzare un party per donne, ma abbiamo bisogno di un’organizzatrice” e io subito: “Me ne occupo io!” perché anche quando vivevo a Seattle venivo a San Francisco a trovare gli amici del giro “sex positive”, ma anche a frequentare un evento chiamato Girl Pile, che era un sex party per donne e mi piaceva tantissimo. Così quando hanno detto “vogliamo fare un evento a Mission Control”, volevo che fosse il più possibile simile a Girl Pile, e Velvet ha un feeling molto simile, cosa che mi rende molto felice. Volevo che fosse il più vario possibile, e che tutte si sentissero a proprio agio, e che proponesse un sacco di cose diverse da fare, e penso che sia stato un grosso successo. Penso che alle persone piaccia molto, molte mi hanno detto che questo è il solo evento durante il quale si sentono a casa a Mission Control, quindi soddisfa davvero un bisogno della comunità di cui sono parte e sono davvero contenta di organizzarlo. Quando ho iniziato, facevo tutto da sola, ma adesso ci sono molte persone che lavorano con me: ho una co-organizzatrice che è anche la coordinatrice delle volontarie; abbiamo delle volontarie splendide, e Velvet ha iniziato davvero a decollare, ne sono molto contenta.

L’altro mese, al party c’era una donna di Amsterdam che ha detto: “Penserai che ad Amsterdam ci siano molti eventi come questo, ma ogni volta che iniziano, non durano”. E mi ha detto: “Questo è davvero fantastico”. È da più di due anniun che esiste questo party e sta diventando sempre più grande e bello. In larga parte si viene per passaparola. Non facciamo pubblicità, anche perché non vogliamo fare pubblicità al pubblico in generale, vogliamo che resti una cosa di amiche di amiche.

 

ι

Cioè, mi ha invitata un’amica. Ho un po’ paura della comunità kinky, ma sono una persona molto kinky, quindi mi trovo in una posizione strana. Sono troppo timida per superare la mia paura di consegnarmi a qualcun altro, quindi ho deciso di venire a vedere questo posto, vedere un po’ che succede.

 

κ

Sono qui stasera per divertirmi e rilassarmi e trovarmi in uno spazio sex positive dove si sente che non ci sono stereotipi e pregiudizi legati al corpo e siamo davvero libere di esprimerci come persone e come creature sessuali. Ci sono anche transessuali qui, è un’atmosfera molto accogliente.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta a Velvet?

In realtà, sono venuta per farci una performance perché una delle mie coinquiline organizza il party. È stato così fantastico, facevo la scema, stavo proprio bene…

Prima ballavo in un cinema, in città, mi manca molto quel posto, era aperto e sex positive, mi sono resa conto di quanto mi mancasse, nella mia vita.

 

λ

In realtà, sono venuto qui stasera perché ho avuto una giornata impegnativa. Mi piace molto l’atmosfera di questo party, è molto rilassante. Penso che sia molto tollerante e di larghe vedute, mi sento sicuro ad essere me stesso qui.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta a Velvet?

Per stare con ragazze e ragazzi fighi, sì, per incontrare più gente in un ambiente sex positive che non fosse eteronormativo, perché sono stato ad altri eventi in questo locale e non sto dicendo che siano brutti, sono davvero, davvero, davvero divertenti. Mi sembra però che questo posto sia dominato da una presenza di uomini eterosessuali, come i tipi che ti puntano, e qui questo non c’è, è molto liberatorio e si rispettano i limiti delle persone. Mi piace, e mi piace la gente che incontro qua.

Mi ha invitato la mia amica, tipo “oh, dovresti venire con me!”, e io ho detto “ok, non ho niente da fare”, più o meno è tutto qui. In parte perché ho guardato il sito e ho letto più cose al riguardo e volevo vederlo, perché è un posto dove puoi essere aperto e sex positive su quasi tutto, mi piace proprio. Stasera ho messo i tacchi e non avevo mai fatto una cosa del genere in pubblico in tutta la mia vita ed è davvero figo farlo, è davvero magnifico, è la prima volta per me.

 

μ

Sono qui perché non ho trovato nessun party che sia dedicato specificamente a lesbiche e trans e in tutti i posti dove sono stata, come Power Exchange e Citadel… Citadel era una cricca, e Power Exchange era proprio sporco e sgradevole. E sono venuta qui la scorsa settimana e mi sono innamorata, quindi ora, che è la seconda volta, sto facendo la volontaria e continuerò a farlo, e per me sarà la mia cosa del primo venerdì del mese.

Qual è stato il motivo la prima volta che sei venuta a Velvet?

Cercavo amiche con i miei stessi interessi e un posto in cui sentirmi a mio agio, come a casa, ed è proprio andata così.

 

ν

Qual è il motivo o i motivi per cui sei qui stasera?

Ero annoiata a morte. In realtà non ero mai stata a un party dove ti chiedevano la carta d’identità…

È la mia prima volta.

 

ξ

Vado a un sacco di altri party e ho sempre voluto venire anche a questo, ma non ho mai trovato nessuno con cui andare: nessuna delle mie amiche voleva venire senza il suo stupido fidanzato. Alla fine, stasera avevo un appuntamento romantico per venire qui ma mi ha dato buca e ho incontrato qui, al bar a fianco, queste due adorabili signore, così è andata bene.

Non volevo essere quella stramba nell’angolo che fa “ciao…”.

Mi è sempre piaciuto Mission Control, ma se vieni durante le serate normali ci sono tipi aggressivi che vogliono rimorchiarti. Con le donne è più difficile, le donne non è che ci provano, ma qui si può fare. Ed è tutto molto più selettivo, tutte sono molto selettive, me compresa. Mi piacciono le femmes, mi piacciono le donne molto, molto femminili.

 

ο

Sono venuta a un sacco di eventi di Mission Control e questa è la mia prima volta a Velvet, non sono sicura di cosa sia, esattamente. Ero con un tiio incontrato online davvero tremendo, così ho chiamato la mia amica ed è venuta a prendermi e abbiamo provato a scappare dal tizio, che non voleva andarsene, così siamo venute in un posto per sole donne.

 

π

La prima volta che sono venuto, ero con degli amici bois, un gruppo chiamato Boisbois, di bois e butch a cui piacciono le altre bois e butch, e volevamo venire qui per una delle nostre uscite, così siamo usciti a cena prima, perché non tutti vogliono andare a un sex party. E poi siamo venuti con un gruppo di ragazzi, e stiamo semplicemente qua, con gli amici. Sono stato a un sacco di play party, ma erano BDSM, e poi a una serata di donne, sempre incentrata sul sesso.

Io sono trans, sono stata a The Arrows, che è un sex club per uomini gay a Castro: sono molto gentili, sono stato lì per le loro serate regolari, che sono trans friendly e per i private party dedicati a tutti i generi, che sono incentrati sul sesso, ma tutto il resto era incentrato sul kink.

Volevo provare qualcosa che fosse più incentrato sul sesso e l’organizzatrice di Velvet era con me in questo programma per formare persone competenti a informare sul sesso,ed è così che ho saputo di questo party per la prima volta. Ho esaurito la mia lista di cose da fare, avevamo bisogno di un evento, così abbiamo pensato a questo. Una delle mie colleghe è coinvolta nell’organizzazione di Velvet, e così ne stava parlando e io ho fatto: “Oh, dovrei andarci” e alla fine siamo venuti con la mia partner. A lei non piace andare nei bar o nei club, ma qui: “Oh, è divertente, andiamoci di nuovo”, così siamo venuti ogni mese, dalla prima volta: “Ehi, è tempo di fare le volontarie!”.

Mi piace che non ci sia nessuna pressione a consumare bevande. Ai parti BDSM sono sobrio, e quando vengo qui scelgo di bere o posso scegliere di non bere, e non è strano come in un bar, dove tutto quello che fai è bere. Mi piace che sia così.

Mi piace incontrare gente che non pensa che sei strana quando parli di sesso, perché io insegno educazione sessuale e il sesso mi piace.

 

Grazie a Freda Weitzer per l’aiuto nella revisione delle trascrizioni e a Veruska Sabucco per la traduzione.

 

Pubblicato in articoli, generale, sessualità | Contrassegnato , , , , , , | Lascia un commento

SIRENE ECOFEMMINISTE

NAVIGARE DA PIRATE
di Laura Mango

sirenaEstate, tempo di abbandono di città sovraffollate in favore di luoghi turistici nella maggior parte dei casi sovraffollati. Tuttavia anche la stagione (specialmente dopo la terribile primavera di quest’anno), in cui si apprezzano una volta tanto l’aria aperta e la natura. La rubrica del mese è perciò dedicata alle compagne che dedicano la loro militanza al temo discusso e talvolta equivocato dell’ecofemminismo.

Iniziamo con due gruppi italiani. In primis vengono le Anguane, http://anguane.noblogs.org collettivo anarcoqueer ecovegfemminista che mira a svelare il sessismo insito anche nel movimento antispecista accompagnandosi ad una certa critica del pensiero femminista istituzionale. Il collettivo mira attraverso il blog ad uno scambio di saperi con altre forze antagoniste ed è perciò ricco di articoli, informazioni nonché disponibilità di chiarimenti a proposito del tema.

Altro collettivo italiano, precisamente friulano è quello delle Dumbles,http://dumbles.noblogs.org che ha nel suo sito un interessantissima mappa frutto del loro gruppo di ricerca che instancabilmente lavora sin dal ’92 quando lavoravano tramite stampati e fanzine, per poi entrare come Ecofemminismo nel sito Ecologia Sociale http://www.ecologiasociale.org/ .

Passando all’estero ci sono da segnalare i siti di Greta Gaard http://gretagaard.efoliomn.com ecofemminista statunitense e quello di Alicia Puleo, filosofa femminista brasiliana, attiva in Spagna presso l’Università di Valladolid che ha dedicato gran parte del suo lavoro accademico all’ecofemminismo, http://aliciapuleo.blogspot.it/ raggiungibile anche dalla sua pagina fb https://www.facebook.com/pages/Ecofeminismo-para-otro-mundo-posible/204771226227499?fref=ts e non indifferente è il numero di suoi interventi video caricati su youtube.

Su http://www.grassrootsfeminism.net/cms/category/10/96 e https://anarcoqueer.wordpress.com è possibile invece trovare un buon archivio digitale sull’argomento, il primo in inglese, il secondo in italiano. Insomma, ce n’è di che navigare e avvistare sirene, il simbolo prediletto da molte ecofemministe: metà donne, metà pesce, simboliche come nessun’altra creatura. Navigate navigate e che il vento sia con voi!

Pubblicato in ecologia, generale, navigare da pirate | Contrassegnato | Lascia un commento

Femmine e maschi nella scuola d’infanzia

Le letture per le vacanze consigliate da XXD:

Dragon Ball è da maschi!”

Dalla parte delle bambine in una scuola d’infanzia oggi

di Marta Gallina

Scaricate gratuitamente il nuovo e-book che racconta come si vive l’essere maschietti o femminucce in una scuola d’infanzia oggi: sulle orme del classico Dalla parte delle bambine.

Pubblicato in generale, speciali | Lascia un commento

La madre dimenticata

di Daniela Danna

Il seguente articolo è stato scritto per il Quaderno Viola “Orgoglio e pregiudizio”, dedicato al movimento delle lesbiche in Italia. Senza informare l’autrice, la sua pubblicazione è saltata. Si è trattato di censura, la redazione ha successivamente dichiarato che “mancava l’altra campana” (una mia mail successiva è rimasta senza risposta). Immagino che questo collettivo “femminista” abbia sentito la mancanza di una difesa dei contratti di surrogazione che obbligano le madri biologiche (genetiche o no) a consegnare il figlio al padre biologico. Quali argomenti dalla parte delle donne si possano addurre per difendere una simile posizione mi rimane assolutamente oscuro.

ecco il testo:

La madre dimenticata

Sta diventando comune in Italia e all’estero, in particolare in Francia, che le associazioni di genitori gay, lesbiche e trans nei loro discorsi affianchino sistematicamente all’”inseminazione assistita/artificiale” non l’adozione ma la “maternità surrogata” o maternità per altrui. Sono considerate entrambe “tecniche di procreazione assistita”: una coppia di donne ha bisogno di un uomo per procreare tanto quanto una coppia di uomini ha bisogno di una donna.

Tanto quanto? La differenza è evidente, benché mascherata da una retorica politica che finge di ispirarsi alla nobile idea di parità tra i sessi: da una parte la cooperazione maschile necessaria alla coppia lesbica si limita all’erogazione del liquido seminale (ed è possibile, e preferito da alcune donne, che l’uomo da cui proviene il seme, dunque il padre biologico, rimanga totalmente anonimo – come peraltro accade in molte altre circostanze), dall’altra la coppia gay deve ottenere il figlio da una donna disposta a FARLO – fisicamente e materialmente – e poi rinunciare alla maternità da un punto di vista legale. Diciamo che se un bambino nasce e non viene riconosciuto dalla madre, gli viene cercata una nuova famiglia con la procedura di adozione, mentre nella maternità surrogata la donna intenzionalmente mette al mondo un figlio con l’apporto biologico di un uomo, che sarà l’unico poi a riconoscerlo diventandone il padre legale. Non è una pratica molto diffusa (anche perché di fatto costosa), ma esiste. È stata definita “la forma di alienazione lavorativa più estrema che le donne possano subire”. In Italia è vietata dalla legge.

Il problema di questa pratica è che quando avviene sotto forma di contratto (e quindi con un passaggio di denaro alla madre, alle agenzie che organizzano il tutto, agli avvocati che curano gli interessi delle parti – cosa già di per sé problematica dal momento che ha forti analogie con la compravendita di esseri umani), la madre si impegna a troncare il proprio rapporto quotidiano con il/la figlio/a prima ancora di rimanere incinta, e quindi prima di vivere il rapporto con il figlio/a in formazione, prima di avere l’esperienza della gravidanza, del parto, e del contatto con il neonato. Cioè si impegna a troncare al momento della nascita un rapporto fisico, materiale e materno che ha già avuto con il bambino in formazione. Mentre, tra parentesi, nello stesso periodo della gravidanza il padre biologico ha – per definizione nelle pratiche veicolate da contratti – solo un rapporto molto sporadico con madre e il feto.

Che cosa succede se la donna cambia idea, se vuole continuare ad essere madre di quel bambino/a? Non sarebbe una ben comprensibile decisione? Siccome ha firmato un contratto non può semplicemente tenere suo/ figlio/a: dovrà forse restituire i soldi ricevuti dal padre biologico (che avrà probabilmente usato per vivere, dato che si tratta di rimborsi spese), oppure la decisione sull’infrazione del contratto sarà messa nelle mani di un giudice (succede negli Stati Uniti) che può decidere che quel rapporto tra madre e figlio venga interrotto, oppure imporre un rapporto famigliare con il padre biologico tramite un affido condiviso del figlio, che è di fatto un’imposizione alla madre di una relazione stretta con il padre biologico.

Nel diritto italiano non è consentito il riconoscimento di un bambino da parte del padre se la madre non vuole (salvo eccezioni) e comprensibilmente: che famiglia sarebbe questa creata dai giudici, che legano in un rapporto così stretto di condivisione della genitorialità due persone, una delle quali sicuramente non lo vuole? Che ambiente sarebbe questo per un/a bambino/a nella sua crescita?

La pratica di maternità surrogata può esistere sicuramente senza violenza (economica, psicologica, istituzionale) contro la madre solo se la volontà di questa di cedere il passo al padre e al suo compagno (o a chiunque altro: le coppie etero sono i principali fruitori della maternità surrogata) è accertata al momento della nascita del bambino/a, non prima. Si configura cioè (a differenza dell’adozione) come pratica veramente eccezionale, che nasce da una effettiva relazione di amicizia o di parentela: i casi di cui si ha notizia in cui la maternità per altrui è del tutto trasparente sono quelli di un aiuto tra sorelle o altri parenti stretti.

E infine: non può esserci parità nella considerazione di ciò che accade agli uomini e ciò che accade alle donne nelle questioni legate alla procreazione: è qui (e solo qui) che la differenza biologica non può essere ignorata.

Pubblicato in articoli, generale, gravidanza | Lascia un commento

Il mercato dell’orgasmo femminile

di Elisa Baccolo

Secondo quelle che vengono spacciate come recenti statistiche, il 43% delle donne americane tra i 18 e i 59 anni soffrirebbe di quella che ormai viene chiamata disfunzione sessuale femminile, una malattia di nuovo conio che include disinteresse nei confronti del sesso, rapporti sessuali dolorosi, difficoltà nella lubrificazione e incapacità di raggiungere l’orgasmo. È a partire da questo dato imponente che prende forma il documentario di Liz Canner, Orgasm Inc., un viaggio ironico e a tratti spiazzante attraverso le industrie farmaceutiche e gli enormi affari che queste hanno perseguito nel corso degli ultimi 15 anni, speculando sulla (presunta) difficoltà di buona parte delle donne nel raggiungere l’orgasmo nel rapporto sessuale e sulla possibilità di considerare questo disagio come una vera e propria malattia.

Per comprendere l’entità di questo fenomeno farmaceutico e mediatico, Liz Canner ha dedicato molti anni della propria carriera cercando di intervistare tutte le parti coinvolte: le compagnie farmaceutiche, le principali clienti dei nuovi prodotti sul mercato, e, non da ultimo, le voci critiche che con forza cercano di contrapporsi all’eccessiva semplificazione e alla superficialità con la quale ormai ci siamo abituati a guardare alla sessualità femminile.

Il viaggio della Canner inizia con la compagnia Vivus, fondata da Virgil Place nel 1996. Si tratta di una delle prime compagnie farmaceutiche a ottenere l’approvazione dell’F.D.A. (ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) per trattare le disfunzioni sessuali. Quando ha smesso di essere una delle compagnie principali a produrre prodotti per uomini, come il viagra, la compagnia Vivus ha pensato bene di cambiare il proprio target, cominciando a testare le proprie “erection drug” sulle donne e dando vita a un processo anomalo per cui sono le stesse industrie farmaceutiche a definire cosa può essere indicato col termine “malattia”. In un’intervista a Ray Moynihan, giornalista di The British Medical Journal e co-autore del libro Selling Sickness, questi osserva: “Quando mai è la stessa industria farmaceutica a individuare o definire una malattia? [Le compagnie farmaceutiche] cercano di trasformare difficoltà molto comuni tra le donne in disfunzioni sessuali femminili che possono essere curate con una pillola .[…] Negli ultimi 15/20 anni le industrie farmaceutiche sono state coinvolte nel definire e ridefinire e disegnare le patologie. Hanno capito che si possono fare un sacco di soldi dicendo a persone sane di essere malate”. Non è certo un caso che l’industria farmaceutica risulti essere il terzo settore più redditizio nel mondo, dopo l’industria delle telecomunicazioni e quella petrolifera.

Si tratta di un fenomeno che ha conosciuto anche l’Italia con gli spot martellanti che cercano di venderci creme anticellulite all’insegna del motto “la cellulite è una malattia”. Una fonte autorevole come il British Medical Journal ha però pubblicato una Classificazione internazionale delle non-malattie contenente oltre 200 situazioni considerate a torto delle malattie, in cui, guarda caso, compare la stessa cellulite.

Il mercato dei prodotti per favorire l’orgasmo utilizza la stessa strategia: attribuisce lo stato di malattia a condizioni che fanno parte di normali processi biologici per motivare l’acquisto dei propri prodotti e garantirne un’ampia fruibilità, dal momento che una larga fascia della popolazione si riconosce nei sintomi senza sapere di ricadere nella categoria della normalità.

Uno strumento utilizzato per fare del terrorismo psicologico sono proprio le percentuali, che spesso sono frutto di ricerche statistiche poco trasparenti. Prendiamo quel 43% che dovrebbe indicare il numero di donne americane che soffrono di una disfunzione sessuale: Ray Moynihan ha scoperto che tale percentuale è basata su dei questionari che sono stati sottoposti nei primi anni Novanta e che richiedevano di rispondere a domande del tipo: “Negli ultimi 12 mesi c’è stata almeno una volta in cui ti è mancato interesse nell’avere rapporti sessuali / non sei riuscita a raggiungere l’orgasmo/ hai avuto dolori durante il rapporto sessuale/ non hai trovato il sesso piacevole?”. Si tratta di situazioni in cui una donna qualunque e non necessariamente malata può trovarsi a esperire nell’arco di 12 mesi, a causa di fattori che spesso hanno poco a che fare con condizioni patologiche: lo stress, un rapporto di coppia senza sintonia, le preoccupazioni quotidiane, l’utilizzo di pillole anticoncezionali. Moynihan ha inoltre scoperto che gli stessi autori del questionario avevano dichiarato che la maggior parte di questo 43% tanto sbandierato dai mass media sono in realtà donne perfettamente normali, che non soffrono di alcuna malattia o disfunzione.

Credo che esista un profondo legame tra questo recente fenomeno farmaceutico e le modalità attraverso cui la società occidentale disegna e rappresenta i nostri corpi e la nostra sessualità: nei film (porno e non), nelle pubblicità, nei romanzi, soprattutto quelli che nel titolo recano sfumature di diversi colori. Secondo la rappresentazione più comune infatti la donna gioca un ruolo passivo nella sessualità e non è in grado di raggiungere l’orgasmo senza penetrazione. Ciò presuppone quindi che il rapporto sessuale per eccellenza debba essere quello tra uomo e donna e che vi sia una compenetrazione degli organi sessuali. Niente di più limitante: Charletta, che a suo dire ha sempre avuto difficoltà nel raggiungere l’orgasmo nei rapporti col marito, ha provato a testare l’Orgasmatron di Stuart Meloy, un marchingegno che viene applicato alla spina dorsale e che promette di garantire un orgasmo indotto in ogni momento della giornata. Quando anche questa soluzione si rivela fallimentare (oltre che piuttosto rischiosa, dato che tra gli effetti collaterali ricadono perdita di fluido cerebrospinale, paralisi e shock, mentre i benefici di fatto sono ancora sconosciuti) è lei stessa a proporre di guardare alla sua situazione da una nuova angolatura: “È arrivato il momento di accettare me stessa: ci sono diversi modi di raggiungere l’orgasmo oltre al rapporto sessuale. Posso avere l’orgasmo anche se non nella situazione normale in cui due persone hanno un rapporto sessuale. Anzi, forse questa situazione normale non è nemmeno così reale: sono i film a dirci che è reale”. E, in effetti, molte donne non raggiungono l’orgasmo nel modo in cui ci mostrano i media: questo dovrebbe suggerirci che è tempo di ridefinire ciò che è normale, secondo quella che è la reale e quotidiana esperienza delle donne. Manca infatti, al riguardo, un’educazione sessuale che favorisca una maggiore consapevolezza del nostro corpo e delle sue potenzialità. A nessuno è mai venuto in mente che la presunta incapacità della donna di raggiungere l’orgasmo sia dovuta anche al fatto che sia noi che i nostri partner non dedichiamo sufficiente tempo per conoscere a fondo il nostro corpo, limitandoci a introitare e riprodurre situazioni “da film”, spesso sterili e impostate? Kim Wallen, professore di endocrinologia comportamentale alla Emory University, osserva al riguardo che gli ormoni non sono il fattore più importante che influenza la motivazione sessuale: il contatto è molto più importante. Ed è proprio dal contatto e dal rispetto reciproco da cui dovremmo partire, invece che proiettare una mancanza sul sesso debole, che, chissà, forse così debole non è.

Pubblicato in articoli, cinema, generale, sessualità | Contrassegnato , , , | Lascia un commento

Il genere spiegato a un paramecio

Scaricate il testo pubblicato da BFS nel 2011 e ora quasi esaurito in formato cartaceo

>

Scarica qui il PDF

Se dovessimo spiegare il concetto “genere” a una creatura che ne è completamente priva, come certi alieni della fantascienza, oppure proprio qui sul nostro pianeta a un’ameba o, putacaso , a un paramecio, come ce la possiamo cavare? Il paramecio probabilmente ci farebbe una serie di domande, a partire da “Perché siete divisi in maschi e femmine?”, “Perché alcuni popoli esagerano la distinzione mentre altri la rendono quasi insignificante?”, “Voi donne volete essere uguali agli uomini o differenti?”, “Avete una cosa chiamata “sessualità”: come la vivete?”, fino a chiederci del “post-genere”.
Le risposte a queste domande che troverete nel libretto serviranno sicuramente a tutti i parameci della Terra, ma anche agli umani, a qualunque genere appartengano, che vogliano saperne di più su un concetto che tant* danno per scontato, e perciò altrettanti non osano più chiedere.

Pubblicato in generale, speciali | Contrassegnato , , , , , , | Lascia un commento

Scioperiamo. Per fermare la Cultura della violenza

riceviamo e molto volentieri pubblichiamo

Alla presidente della Camera, Laura Boldrini

Alla ministra delle Pari Opportunità, Josefa Idem
Alla segretaria della Confederazione Generale del Lavoro, Susanna Camusso
A tutte le donne delle istituzioni, delle arti e dei mestieri
A tutte noi

Pensavamo che l’uccisione di Fabiana, bruciata viva dal fidanzato sedicenne, esprimesse un punto di non ritorno. Invece no. L’insulto che è stato rivolto alla ministra Cécile Kyenge – da un’altra donna – dice molto più di quanto non vogliamo ammettere. E di fronte ad una violenza verbale simile, non ci sono scuse o giustificazioni che tengano. Noi non siamo mai state silenziose, abbiamo sempre denunciato questi fatti, le violenze fisiche e quelle verbali. Ma non basta.

Non basta più il lavoro dei centri antiviolenza, fondamentale e prezioso. E non bastano le promesse di leggi che neanche arrivano. La ratifica della convenzione di Istanbul? Un passo importante, ma bisogna aspettare e aspettare. E noi non vogliamo più limitarci a lanciare appelli che raccolgono migliaia di firme ma restano solo sulla carta; a proclamarci indignate per una violenza che non accenna a smettere; a fare tavole rotonde, dibattiti politici, incontri. Adesso chiediamo di più.

Chiediamo di poter vivere in una società che vuole realmente cambiare la Cultura che alimenta questa mentalità maschilista, patriarcale, trasversale, acclarata e spesso occulta, che noi riteniamo totalmente responsabile della mancanza di rispetto per le donne, e che non fa nulla per fermare questo inutile e doloroso femminicidio italiano.

Chiediamo che la parola femminicidio non venga più sottovalutata, svilita, criticata. Perché racconta di un fenomeno che ancora in troppi negano, o che sia qualcosa che non li riguarda. O addirittura che molte delle donne uccise o violate, in fondo in fondo, qualche sbaglio lo avevano fatto. Quanta disumanità nel non voler vedere il nostro immenso lavoro, quello pagato e quello non pagato, il lavoro di cura e riproduttivo, il genio, la creatività, il ruolo multiforme delle donne.

Chiediamo di fermarci. A tutte: madri, sorelle, figlie, nonne, zie, compagne, amanti, mogli, operaie, commesse, maestre, infermiere, badanti, dirigenti, fornaie, dottoresse, farmaciste, studentesse, professoresse, ministre, contadine, sindacaliste, impiegate, scrittrici, attrici, giornaliste, registe, precarie, artiste, atlete, disoccupate, politiche, funzionarie, fisioterapiste, babysitter, veline, parlamentari, prostitute, autiste, cameriere, avvocate, segretarie.

Fermiamoci per 24 ore da tutto quello che normalmente facciamo. Proclamiamo uno sciopero generale delle donne che blocchi questo maledetto paese. Perché sia chiaro che senza di noi, noi donne, non si va da nessuna parte. Senza il rispetto per la nostra autodeterminazione e il nostro corpo non c’è società che tenga. Perché la rabbia e il dolore, lo sconforto e l’indignazione, la denuncia e la consapevolezza, hanno bisogno di un gesto forte.

Scioperiamo per noi e per tutte le donne che ogni giorno rischiano la loro vita. Per le donne che verranno, per gli uomini che staranno loro accanto.

Unisciti a noi, firma e diffondi questo appello. Insieme, poi, decideremo una data.

MANDARE FIRMA A  scioperodonne2013 (gmail.com)

Barbara Romagnoli (giornalista freelance)
Adriana Terzo (giornalista freelance)
Tiziana Dal Pra (presidente del centro interculturale Trama di Terre)

 

Qui elenco firme aggiornato

http://www.barbararomagnoli.info/adesioni-a-scioperiamo-per-fermare-la-cultura-della-violenza/

Pubblicato in antiviolenza, articoli | Contrassegnato , , | Lascia un commento

Milano: Laboratorio Teatrale per e con le donne

donneGiorni e orari:
VENERDI 28 Giugno dalle 20.00 alle 23.00
SABATO 29 Giugno dalle 10 alle 18
DOMENICA 30 Giugno dalle 10 alle 18

Luogo: Libera Università delle Donne – Corso di Porta Nuova, 32 – Milano

Cosa mi metterò domani?

Attraverso giochi e esercizi divertenti faremo emergere i desideri e i giudizi, per darsi un possibile punto di partenza collettivo, in questo periodo storico di crisi del ruolo di noi donne.
L’utilizzo del teatro e di altre pratiche artistiche permette la facilitazione della discussione critica, in uno spazio dove i nostri CORPI, ci suggeriranno noi stesse.

Il corpo è ciò che siamo, ed è un oracolo, che non dice ma rivela di continuo, assediato da domande di verità, che non trovano risposta se non costruendo un artificioso fondo alla sua voce abissale. Questa voce è il suono che gli artisti articolano con ogni mezzo espressivo e che i filosofi ci insegnano ad ascoltare.

Umberto Galimberti

Perché uno spazio SOLO per le donne?

Non siamo contro la condivisione allargata, e quindi non è un laboratorio CONTRO gli uomini, semplicemente gli spazi PER le donne sembrano essere insufficienti.


Le tecniche che utilizzeremo sono:


– Teatro di Figura: 
che utilizza  oggetti (pupazzi, ombre, marionette) come protagonisti e segni di un linguaggio fortemente visuale e sensoriale.


– Teatro dell’Oppressa :
con una forte valenza politica ed educativa. Nel TdO si sperimentano direttamente le “meccanizzazioni” corporee e comunicative che ognuna di noi sedimenta nella vita quotidiana e, attraverso l’incontro con l’altra/o, il soggetto intraprende un percorso di “coscientizzazione”, passo primo e necessario verso il cambiamento.


– Metodo Feldenkrais: si basa essenzialmente sul prendere consapevolezza dei propri movimenti e dei propri schemi motori e quindi, attraverso il movimento, di espandere la consapevolezza di sé nell’ambiente.

e molto altro…

Vorremmo che questo laboratorio portasse alla formazione di un gruppo, e sempre più gruppi, di donne con l’obiettivo una ”coscientizzazione teatrale gratuita” da portare nelle le piazze, strade!


Vi invitiamo ad un abbigliamento comodo

A chi è rivolto

Il laboratorio è una raccolta di diverse tecniche dove l’unica abilità richiesta è essere presenti.

Ogni persona che viene al mondo, porta al mondo stesso un dono. Il compito della società, e delle bambine e bambini che crescono; è trovare insieme in cosa consiste questo dono, trasformando i loro talenti e i punti di forza in un meraviglioso fiore.

Sono benvenute:

  • a donne di ogni età che trovano piacere nel gioco e nel teatro

  • a chi vuole trovare dei mezzi per diventare più attiva sul livello politico-sociale

  • a chi è interessata al teatro sociale o al TdO

E’ OBBLIGATORIA L’ISCRIZIONE:

Insegnanti: Aneta Derzynska e Silvia Torri aneta.derzynska chiocciol  gmail.com

Pubblicato in iniziative | Lascia un commento

Rossetti e violenza

di Mara Brunori

bolinas 021

 

Milano, 8 maggio 2013. Un giorno come tanti, sul treno. Da brava pendolare prendo una copia di Metro, il quotidiano gratuito distribuito a livello nazionale. Cerco faticosamente un posto, sistemo la valigia e inizio distrattamente a leggere il giornale, indecisa tra continuare la lettura o ascoltare la musica. Finché i miei occhi cadono sull’ intervista fatta da Stefania Divertito ad Oliviero Toscani, noto fotografo e pubblicitario. Ve la riporto.

 

Le donne smettano di sedurre altrimenti sedurranno solo maniaci”. Non le sembra un po’ esagerato?

Ma no! Ma non le vede in giro? Tutte uguali, le labbra a canotto, i nasi stereotipati, le tette di fuori. Perché devono sedurre sempre?

 

Da qui a dire che è colpa loro se vengono insidiate dai maniaci ce ne vuole…

Guardi che non c’è proprio bisogno di essere sempre seduttive.

 

E qual è il confine secondo lei? Un velo di lucidalabbra è seduttivo? Andare dal parrucchiere è seduttivo?

Le donne sono sempre andate dal parrucchiere …

 

Appunto: lei condanna l’esagerazione?

No. Io condanno la donna che si trucca e si mette i tacchi, che sono inversamente proporzionali all’intelligenza.

 

Viva la donna purché sia sciatta?

E chi la vuole sciatta? Prenda la Berlinguer: anche lei sempre così seria a volte fa la provocante. Ma perché? E invece la Bonino: porta con fierezza le sue rughe ed è bella, così sorridente, colorata.

 

Senta: ma non è che i violentatori siano poi così selettivi nello scegliere le prede.

Ma infatti è l’esasperazione che genera mostri negli uomini che sono degli stolti. Io dico alle donne: piacetevi di più, non avrete bisogno di sedurre.

 

Finisco la lettura e strabuzzo gli occhi, incredula. La rileggo, e le parole non cambiano.

Agghiacciante. Come può una persona esprimersi in questo modo? In periodi come questo, dove il femminicidio e più in generale questa sorta di cultura contro la donna sono sempre più un’emergenza?

Dall’inizio dell’anno sono ben 36 le donne uccise da compagni, mariti o perfetti sconosciuti, tre solo la scorsa settimana. Abbiamo visto tutti i loro volti al telegiornale, credo anche il signor Toscani. E tutto si può dire di quei visi tranne che fossero provocanti. E se anche lo fossero stati? Agli uomini basta vedere due tacchi e un po’ di colore sulle labbra per sentirsi legittimati a usare violenza su una donna, a violarla?

No. Non voglio credere che sia così, ho conosciuto troppi uomini sensibili, rispettosi e intelligenti per pensare a tutto il genere maschile come mostro o potenziale tale. Al contrario Toscani non deve avere una grande stima degli esemplari del suo stesso sesso, se li reputa tutti incapaci di pensiero e privi di autocontrollo.

 

Non sopporto le generalizzazioni, non sono mai veritiere e spesso servono a distogliere l’attenzione dal vero problema , e qui un problema c’è e va affrontato. E sarebbe bello se tutti gli uomini lontani dalla descrizione di Toscani, che fortunatamente sono la maggior parte, si indignassero per primi davanti a simili dichiarazioni e prendessero posizione. Perché se fossi un uomo mi sentirei offesa da parole tanto superficiali e stupidamente, inutilmente provocatorie.

Il tema della violenza maschile sulle donne non è qualcosa su cui fare ironia, non è un tema da banalizzare né tanto meno da strumentalizzare per far parlare di sé.

Pensavo avessimo superato il periodo della “sentenza dei jeans” del 1999 e invece siamo ancora a quel punto, e se la donna provoca si deve aspettare una reazione sessualmente violenta negli uomini. E siccome la maggior parte di noi si trucca o porta tacchi, e visto che a quanto spiega Toscani l’uomo si sente sedotto molto facilmente, siamo tutte potenzialmente nel loro mirino.

 

Questi i pensieri che mi attraversano la testa. Arrivata a casa decido di cercare altre notizie sul Toscani-pensiero, e la mia rabbia aumenta.

Qualche altra perla?

Sono le donne le prime a fare schifo”, “Il problema delle donne è che continuano a puntare sulla bellezza piuttosto che sull’intelligenza. Anzi, anche le donne intelligenti non lo sono abbastanza”,Siete bestie da sesso“, “Mi fate schifo, siete tutte troie”.

Fortunatamente non sono sua figlia”, penso. E scelgo di evitare commenti, sarebbe fin troppo facile scendere al suo basso livello e rispondere con insulti e offese.

Certo mi lascia perplessa che sia proprio una persona che svolge un lavoro totalmente centrato sull’immagine e l’esteriorità (e che deve la sua notorietà a campagne fortemente provocatorie e spesso contestate, come dimenticare le sue campagne pubblicitarie per Benetton degli anni ’90 o il suo calendario 2011 ad oggetto “pubi femmninili”?) a farci una lezione sulla morale e a criticare le donne che ricorrono alla chirurgia estetica o al rossetto.

 

Sono una donna normalissima, mi reputo intelligente, non porto tacchi perché li trovo scomodi ma mi piace truccarmi. Ebbene si caro Oliviero, metto anche il rossetto. Ma non lo faccio certo per sedurre o provocare te o i tuoi simili, e sicuramente la quantità di ombretto che uso non incide sul mio intelletto.

Per quanto riguarda la chirurgia estetica bisognerebbe spiegare a questo signore che i motivi per cui le donne decidono di farvi ricorso sono i più diversi. Sicuramente c’è la voglia di piacersi e piacere di più, unita a una buona dose di insicurezza. Ma chiediamocelo, chieditelo, da dove arriva questa insicurezza. Non sarà che l’immagine della donna che viene proposta da tv, giornali, campagne pubblicitarie, condiziona la percezione che ogni donna – fin da ragazzina – ha del suo corpo, e la spinge a cercare di corrispondere sempre più a quei canoni imposti dai media?

E non nascondiamoci dietro un dito: l’avvenenza fisica è richiesta in molti impieghi, non solo nel mondo dello spettacolo. Credo non sarà capitato solo a me di consultare gli annunci di lavoro e di leggere cose tipo: “Cercasi impiegata di bell’aspetto”, “Cercasi commessa avvenente per inserimento in negozio di abbigliamento”.

Credo mi stia sfuggendo qualcosa: la donna curata non va bene perché rischia di essere provocante, ma sul posto di lavoro questa è una caratteristica preferenziale per l’assunzione?

 

Toscani è un pubblicitario, un fotografo. Spesso ha usato (utilizzo volutamente questo termine) le donne e il corpo femminile per realizzare le sue campagne. Viva le donne oggetto quindi, e adesso di cosa si stupisce, di cosa si lamenta? Di qualcosa che anche lui con il suo lavoro ha contribuito a creare?

Caro Toscani, fattela una riflessione. E già che ci sei, vergognati pure.

 

 

Pubblicato in antiviolenza, articoli, generale, violenza | Contrassegnato , , , , | 1 commento

Un problema maschile

 

di Mara Brunori

papaveriiiii

“È tutto qua: capire che è un problema degli uomini”. Con questa frase di Marisa Guarneri, presidente onoraria della Casa delle donne maltrattate di Milano (CADMI), si conclude l’incontro “La violenza maschile: le parole per dirla” tenutosi all’Università degli Studi di Milano Bicocca lo scorso 23 aprile.

Il seminario, organizzato dal Comitato delle pari opportunità in occasione dell’inaugurazione della sesta edizione del corso “Donne, politica e istituzioni”, ha visto la partecipazione di numerose voci: la regista Elisabetta Francia; le giornaliste del Corriere della Sera Luisa Pronzato, Angela Frenda e Marta Serafini; le ricercatrici Sveva Magaraggia e Daniela Cherubini e il sociologo Marco Deriu, il tutto moderato dal prorettore alle pari opportunità Carmen Leccardi.

L’aspetto interessante e innovativo dell’incontro è stato il cambio di prospettiva che l’ha contraddistinto: non più la donna vittima di abuso come focus del discorso, bensì l’uomo maltrattante. Ciò ha permesso di staccarsi dal consueto dibattito sul femminicidio per spostarsi sul piano della psicologia maschile e provare a identificare ragioni e esperienze pregresse che spingono (o potrebbero spingere) un uomo a agire violentemente.

È bene però fin da subito sciogliere ogni dubbio: dare voce a uomini che in passato hanno usato violenza – verbale, psicologica, fisica, economica, sessuale – nei confronti delle loro partner non significa giustificare il loro comportamento o sottovalutarlo. Significa invece cercare nuovi strumenti da utilizzare nella prevenzione di questa emergenza sociale.

È ciò che ha cercato di fare Elisabetta Francia nel suo documentario “Parla con lui”, in cui attraverso le testimonianze di uomini con un passato da persecutori cerca di capire ciò che accade nella testa e nel corpo di un uomo quando agisce violentemente contro una donna.

Sono vari gli aspetti emersi da questi racconti:

– il riconoscimento di una dimensione maschile molto fragile che contrasta con quella di uomo forte, “macho”, a cui invece aspirano;

– l’incapacità di gestire i conflitti e di rielaborare una separazione, che li portano a distruggere il mancato oggetto del desiderio (la donna innanzi tutto e di conseguenza la famiglia);

– l’incapacità di contenere e gestire la rabbia, che molto spesso deriva da situazioni non superate vissute durante l’adolescenza;

– il delirio di onnipotenza che scaturisce nel riuscire a sottomettere una donna;

– la mancata somiglianza tra la madre (“che mi faceva tutto”) e la donna che hanno sposato (che invece “non ubbidisce, non fa tutto quello che voglio come faceva mia madre”).

La quasi totalità degli uomini intervistati non si assume la responsabilità delle proprie azioni, ma imputa alla donna la colpa di averli portati a commettere determinati gesti, a averli in qualche modo provocati, esasperati: “sei tu che mi hai portato all’eccesso”, “non sono violento, io, ma se mi si contrasta….”, “Non me lo sono inventato di alzarmi quella mattina e scriverti ‘ti voglio vedere morta’… sei tu che mi hai istigato”.

Un aspetto centrale in queste storie è l’utilizzo della sessualità all’interno del rapporto di coppia come mezzo di potere: l’uomo non vuole condividere il suo piacere con la donna, ma la usa per raggiungerlo trasformandola nell’oggetto passivo del suo atto sessuale, della masturbazione, della pornografia (attraverso foto e filmati, e la minaccia-ricatto di pubblicarli in rete o commercializzarli) e per sfogare la sua rabbia e desiderio di potere.

C’è quindi questa continua esigenza di comando, di dominazione, cose che per alcuni di loro sono proprio le donne a desiderare perché “se l’uomo è debole la donna non è contenta, la donna vuole un uomo forte vicino, che decide e comanda”.

Nel documentario Francia ha scelto di dare voce anche agli uomini che lavorano contro la violenza domestica (come operatori del 118, forze di polizia) e alle riflessioni dei ragazzi delle scuole superiori. Scopo del suo lavoro infatti era contribuire a sensibilizzare su questa tematica, perché – spiega – “la soglia di tolleranza dipende dalla soglia di sensibilizzazione: più conosciamo un argomento e meno siamo disposti a sopportare”.

Un aspetto emerso fin dalle prime battute e che è stato affrontato da tutti i relatori è la trasversalità di questo problema. Troppo spesso si è portati a collocare gli episodi di abuso in un contesto di degrado culturale e economico, cosa che porta a vedere la questione come un qualcosa di lontano da noi e che riguarda soprattutto famiglie di immigrati. Niente di più sbagliato: le ricerche svolte in questo campo dimostrano come la violenza, in particolare quella domestica, colpisca donne di tutte le estrazioni sociali, in tutte le regioni d’Italia, di ogni nazionalità, di ogni età. Riprova di ciò è che una donna su tre ha subito un qualche tipo di violenza nel corso della sua vita.

Ripeto, una su tre.

Ogni tre giorni in Italia una donna viene assassinata.

Per il 3% degli uomini italiani la violenza sulle donne è accettabile in ogni circostanza (“se sei una donna devi mettere in conto di essere violentata o uccisa”)

Dati gravissimi, allarmanti. I peggiori d’ Europa secondo tutti i relatori.

Ma cos’è esattamente la violenza contro le donne?

La dichiarazione di Vienna del 1993 definisce tale qualunque atto di violenza di genere che produca o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata.

In questo contesto si inseriscono quindi anche lo stalking e la violenza economica, di cui ha parlato con sensibilità e competenza Angela Frenda.

Questo tipo di violenza potrebbe sembrare secondaria rispetto alle altre, ma così non è perché oltre a essere strettamente collegata a quella psicologica, è anche causa diretta delle difficoltà della donna a uscire da una situazione di abuso.

La violenza economica consiste nell’ostacolare la ricerca o il mantenimento di un lavoro, nell’impedire alla donna di disporre di un conto in banca, nell’escluderla dalla gestione del denaro familiare, nell’appropriarsi dei beni di lei (vestiti e oggetti personali compresi). Serve quindi all’uomo per avere il controllo completo della donna, che si viene a trovare in una posizione di totale sottomissione e dipendenza dal partner. Questo naturalmente creerà in lei una pressione psicologica che la farà sentire inadeguata, incapace. E’ proprio a questo annientamento dell’autostima che l’uomo punta, e è da qui che iniziano le difficoltà della donna che decide di andarsene. Una volta presa la decisione diventa complicatissimo portarla avanti: “Dove vado?”, “ Come faccio senza di lui?”, “ Senza di lui non sono niente…non ho niente…”, “Non ho soldi, ho due figli… come faccio a andarmene, come sopravvivo?”

Va detto che le donne che fuggono da queste situazioni sono lasciate sole a sé stesse da un punto di vista istituzionale e normativo. Mentre in Spagna nel 2004 è entrata in vigore una legge che offre una forte tutela alla donna (e ai suoi figli) prevedendo tra l’altro un sussidio economico, in Italia manca totalmente una legislazione altrettanto forte in questo senso. Non è un caso che la neopresidente della Camera Laura Boldrini abbia ribadito l’urgenza di interventi mirati per questa emergenza che è ormai diventata strutturale.

Altro aspetto messo in luce dalla Frenda insieme alle colleghe del blog “La 27esima ora” del Corriere.it, è quello dei minori.

Save the Children denuncia una situazione molto grave: almeno 400.000 sono i minori vittime della violenza assistita di genere, cioè che assistono impotenti ai maltrattamenti fisici, psicologici, verbali perpetrati sulle loro madri da parte di mariti o partner all’interno delle mura domestiche.

È quindi una forma indiretta di violenza che il bambino subisce, che purtroppo nel tempo si può trasformare in forme dirette di abuso, tanto che l’ 11.3% delle donne abusate denuncia maltrattamenti anche sui propri figli.

Le conseguenze sono gravi in entrambi i casi, sia nell’immediato (problematiche del sonno, bullismo, disturbi comportamentali e dell’alimentazione) che nel corso del tempo (esacerbazione di questi comportamenti, abuso di alcool e droghe, difficoltà di gestione dei rapporti con gli altri, ansia e frustrazioni che possono portare allo sviluppo di condotte violente).

L’ultimo aspetto su cui mi vorrei soffermare è il ruolo dei media.

Come viene rappresentata la violenza sulle donne nei giornali, nelle politiche di contrasto alle violenze di genere (anche istituzionali), nelle campagne di sensibilizzazione?

Quello che salta subito all’occhio è l’assenza del maschile. Potrete notarlo anche voi, se digitate in Google “violenza dell’uomo sulle donne” vi verranno proposte solo immagini di donne impaurite, che si proteggono, con i lividi. La donna come vittima quindi, ma di chi?

L’uomo, sebbene sia la parte attiva di tutto questo, non è mai presente. Una sola campagna l’ha messo al centro, ma non in veste di “molestatore”, bensì nei panni dell’eroe, dell’uomo buono che salva la donna da altri uomini cattivi.

Ma noi donne non abbiamo bisogno del supereroe che ci viene a salvare, non dobbiamo averne bisogno! Non è questa la figura di uomo che ci interessa e che ambiamo ad avere accanto, perché noi non vogliamo aver bisogno di essere protette. Vogliamo invece un uomo che ci rispetti, che rispetti i nostri no, che ci lasci libere di seguire le nostre ispirazioni, di avere un lavoro, degli amici. Un uomo con cui condividere ideali, sentimenti, sesso, sogni. E che anche quando l’amore inizia a scemare continui a rispettarci. E che continui a farlo anche quando la relazione, per noi, è finita.

E allora viene da domandarsi quanto strada ci sia ancora da fare, quanto sia importante l’educazione dei ragazzi e lavorare sulla sensibilizzazione e la prevenzione. E in quest’ottica anche smettere di parlare di “violenza sulle donne” e iniziare a chiamarla “violenza maschile sulle donne” potrebbe essere un piccolo inizio. Servirebbe a richiamare l’attenzione sulla responsabilità di questi atti, che è esclusivamente maschile. Perché se un uomo uccide, stupra, picchia, sottomette una donna… la colpa non è mai della donna, è solo sua.

Voglio chiudere con una frase di Kofi Annan, che riassume perfettamente la situazione: “La violenza contro le donne è forse la più vergognosa violazione dei diritti umani. E forse è la più diffusa. Non conosce limiti geografici, culturali o di stato sociale. Finché continuerà non potremo pretendere di realizzare un vero progresso verso l’eguaglianza, lo sviluppo e la pace”.

Pubblicato in antiviolenza, articoli, generale | Contrassegnato , , , | 2 commenti