di Teresa Lucente
Dal 5 al 7 ottobre più di 800 donne si sono date appuntamento a Paestum per l’incontro nazionale del femminismo radicale dal titolo Primum vivere anche nella crisi: la rivoluzione necessaria.
Tra le presenti, molte delle donne che erano a Paestum per l’ultimo raduno nazionale che si tenne 36 anni fa e che, in questa occasione, hanno testimoniato l’emozione di esserci ancora a distanza di tanti anni.
Ma non basta ricordare, il compito più arduo è continuare quella storia e non soltanto attraverso ripetizioni. Questo lo spirito con cui molte altre giovani donne, che nel ’76 non c’erano, si sono presentate all’incontro che si è aperto la mattina del sabato con un’assemblea plenaria in cui il primo passo è stato il superamento del conflitto generazionale che ha assunto la differenza fra femminismi. La separatezza tra le “storiche” e le altre, che aleggiava nell’auditorium affollato oltre ogni previsione della vigilia, si è misurata nelle diversità delle pratiche ma anche nella presa di distanza da una “ortodossia” femminista velata dal culto delle genealogie materne. Il superamento del fossato è avvenuto nella contemporaneità della presenza qui ed ora, con la comune voglia di esserci e di contare, con la consapevolezza e la forza del femminismo e la volontà di porre al centro della crisi che investe la nostra civiltà il “primum vivere” che, come ha sottolineato Lea Melandri nel dare avvio ai lavori, era già nelle intuizioni del femminismo originario.
L’assemblea plenaria del mattino si è poi tramutata nel pomeriggio in nove diversi gruppi di lavoro di cui si è dato conto nella plenaria di domenica.
L’interesse dell’assemblea si è centrato prevalentemente sugli elementi di crisi interni alla politica e al lavoro.
La crisi delle istituzioni democratiche, cui assistiamo, rivela i limiti della rappresentanza elettiva sulle cui forme e opportunità si è innescato un confronto serrato che è stato prevalente per buona parte della mattinata. Il desiderio di protagonismo delle donne si è confrontato sulle pratiche soggetto/collettivo che alcune traducono in necessità di portare e appoggiare le donne all’interno delle istituzioni, mentre altre leggono come una necessaria autorappresentazione in una differente pratica politica.
Non è però tanto la rappresentanza quanto il lavoro ad occupare la scena. Lavoro declinato come investimento di energia e desiderio, progetto di sé e relazione con altre e altri per liberare le nostre identità dall’opposizione lavoro/non lavoro.
La questione del lavoro è stata centrale soprattutto nel racconto di chi ha declinato il “primum vivere” a partire dalle condizioni materiali e di esistenza: le precarie.
Il precariato è il tema su cui più si affaccia e si decostruisce il conflitto generazionale perché, sebbene sia chiaro che si tratti di un dramma che attraversa tutte le età, è tuttavia vissuto da molte giovani come un elemento performativo del loro presente e circoscriverlo indistintamente a tutte/i può diventare una trappola che annulla l’articolazione soggettiva delle esperienze.
Il reddito di cittadinanza, istanza più volte riecheggiata a Paestum soprattutto dal gruppo delle “Diversamente occupate”, è posto come la condicio sine qua non di qualunque possibilità di autodeterminazione femminile oggi, come alternativa al ricatto di fare di noi stesse una risorsa umana e come opportunità di scardinare e destrutturare il sistema produttivo, pur nella ferma convinzione che la nostra interezza non si gioca tutta qui, ma anche nella ricchezza della relazione, la cui pratica e la cui forza modificano l’esistente.
Quasi completamente assente dal dibattito la sessualità, il corpo e la violenza, temi passati sotto silenzio anche nei gruppi di lavoro.
Ma la novità e la vera conquista di Paestum è stata nella modalità organizzativa del convegno. Gruppi, associazioni, rappresentanti delle istituzioni, donne singole, provenienti da oltre 50 diverse città, si sono confrontate liberamente e a partire da sé in interventi aperti. L’incontro, infatti, non prevedeva interventi preordinati e neppure relazioni introduttive e conclusive, chiunque poteva prendere la parola semplicemente prenotandosi per alzata di mano. Unica regola il rispetto del turno delle prenotazioni e il tempo dell’intervento (5 minuti ridotti poi a 4 per permettere la maggiore partecipazione possibile).
A partire dalla modalità comunicativa, la politica della relazione è stata praticata con successo e soddisfazione da parte di tutte. Una scelta di metodo che è già politica.
La pratica dell’autocoscienza che si è vissuta a Paestum è stata la forza e il limite dell’incontro e, infatti, se da un lato ha reso possibile esserci con la consapevolezza della nostra forza, dall’altro ha limitato la possibilità di approfondimento dei temi e delle posizioni. Maggior spazio per l’approfondimento nei gruppi di lavoro del pomeriggio che, tuttavia, per l’elevato numero delle partecipanti (40-50 persone per ognuno dei 9 gruppi) non hanno prodotto confronti e approfondimenti da cui si potessero trarre conclusioni univoche nell’assemblea plenaria dell’ultimo giorno.
Uno spazio aperto in cui far confluire l’esperienza e la pratica di ognuna, questo è stato Paestum. Uno spazio da cui ognuna, mancando delle conclusioni univoche, ha potuto trarre la vitalità che si aspettava aprendosi all’incontro e al confronto con altre.
Veniamo via da Paestum con il desiderio che le donne continuino a raccontarsi le loro esperienze e a riconoscere la loro complessità all’interno di una rete di relazioni da coltivare come risposta alla crisi e come deriva di un possibile e necessario cambiamento.